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Month: September 2009

Marketing: addio segmentazione?

Lancio solo uno spunto. Parto dall’articolo segnalato da Pier Luca Santoro e relativo all’indagine di IBM sui cambiamenti dell’advertising. All’interno del pezzo si parla dell’importanza della segmentazione e della personalizzazione di contenuti per quel determinato cluster. Se effettivamente i social media hanno rovesciato la logica di utilizzo, spostando la produzione dal centro alla periferia; se effettivamente si parla di user centered experience, se effettivamente ormai è tutto “user centered“, è possibile che il principio della segmentazione non sia più applicabile? L’enorme quantità di cluster, segmenti eterogenei – per aspetti socio anagrafici, culturali, stili di vita e, in particolare, mutevoli rapidamente nel tempo – richiede degli sforzi di analisi elevati. La mutevolezza delle condizioni rischia di rendere poco profittevoli gli investimenti. A questo punto, piuttosto di andare a scovare il segmento taglizzando il mondo, perchè non fare in modo di aggregare le persone in modo spontaneo e ottenere una cluster analysis sulla base del risultato? Il marketing, a questo punto, diventa non più la funzione che analizza il mercato, ne studia i bisogni e crea i beni per soddisfarli generando valore per l’azienda. Il marketing diventa la funzione che si occupa non di segmentare, ma di unire. Non partendo da parametri socio-demografici, ma da bisogni su cui si instaurano elementi soci-demografici. Il vantaggio immediato è quello di un marketing che vive al passo con le evoluzioni e che non le rincorre, ricercando il cluster profittevole. Utopia?

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La neutralità della rete e la responsabilità personale

Qualche settimana fa, in occasione dell’indagine Antitrust su Google richiesta dalla FIEG, sul FriendFeed di Michele Ficara Manganelli ci fu un’interessante scambio di opinioni che ha toccato anche il tema della privacy e gli aspetti di regolamentazione della rete che secondo alcuni sono necessari. Eravamo in pochi ad essere dell’idea, invece, che sia necessaria una autoregolamentazione che passi, innanzitutto, attraverso una “cultura della rete” o una cultura digitale. Personalmente sostengo che tutti i tentativi di normare la rete (non ultima la nuova proposta Pecorella) siano solo i tentativi di una generazione nemmeno di migranti, ma di trogloditi digitali, di mantenere lo status quo. Anche se si potrebbe sostenere benevolmente che tali iniziative siano adottate realmente a “tutela” dell’utente, sono convinto e rimarrò convinto che senza una educazione e una responsabilizzazione del singolo nell’utilizzo sia solo deleterio per lo sviluppo delle potenzialità del web. Sono stato felice, quindi, quando ho letto della proposta della Fcc negli Usa: garantire la neutralità della rete non limitandone l’utilizzo ma riconoscendo le responsabilità di utilizzo al singolo individuo. Il reato non è il P2P (come si è tentato di far passare), ma è la violazione del copyright ad esserlo. Lo stato perseguirà me nel momento in cui condividerò file protetti da diritto d’autore. Non mi sarà oscurato Facebook perché covo di sovversivi rivoluzionari, andrò a prendere i sovversivi rivoluzionari e li sbatterò in galera. L’eccessiva tutela del singolo non permette alla società di crescere e di responsabilizzarsi nei propri comportamenti, perché passa il principio che se è accessibile è permesso, che se lo può fare uno lo possono fare tutti. Inoltre non pone le persone nella condizione di “sforzarsi” a imparare il galateo, ma a comportarsi come gli pare. Da un punto di vista di business è la stessa cosa. Le aziende (come quelle dell’editoria) vogliono sfruttare Internet, ma non vogliono accettarne le regole. Anche qui: si deve avere la consapevolezza che nel momento in cui mi apro a un canale, devo accettarne pregi e difetti. Così come lo Stato non ammette l’ignoranza legislativa, lo stesso principio vale nell’utilizzo della rete (con l’unica “piccola” differenza che in rete le regole non sono determinate dall’alto).

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Cenerentola si fa virale per promuovere il libro

Quando si dice creatività ben applicata. Parlo dell’iniziativa di Davide Nonino, giovane scrittore friulano, che per promuovere il proprio libro “Chi ha visto Cenerontola? Manuale pratico per giovani scrittori” si è inventato la campagna virale del Book Casting. Di cosa si tratta ve lo faccio raccontare direttamente da lui: Un bookcasting alla ricerca di CenerOntola Un bookcasting non è il solito booktrailer ma una serie di provini pensati dal giovane scrittore Davide Nonino per il lancio del suo nuovo libro: Chi ha visto Cenerontola? Manuale pratico per giovani scrittori. Cenerontola è una Cenerentola a cui è stata messa una O nel mezzo che l’ha trasformata tanto da diventare tutt’altro che dolce e romantica e perennamente arrabbiata con il Principe Azzurro. Il titolo è così uno dei tanti giochi di parole e spunti narrativi che Nonino raccoglie in un manuale di scrittura creativa ricco di esempi pratici ed illustrazioni (curate da Simona Meisser), nato dalle esperienze dirette in laboratori condotti nelle scuole primarie e secondarie. Sul bookcasting visibile su YouTube al http://bit.ly/cenerontola l’autore va alla ricerca della Cenerontola più adatta chiedendo agli utenti di votare fra le 15 proposte quella più azzeccata. Il vincitore salirà sul palco della prima presentazione del Cenerontola TOUR il 25 settembre a Udine per ricevere un premio. Tutti gli utenti hanno poi la possibilità di scaricare un Cenerontola KIT per realizzare un provino (in foto e filmato) da inviare all’autore che lo pubblicherà sul suo blog Parole Appiccicate. e di seguito il video

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Quell’11 settembre

Lavoravo da appena 6 mesi. Saranno state le 15.30 più o meno quando in ufficio ci accorgemmo che la rete si era impiantata. I siti del Corriere e di Repubblica facevano fatica ad aprirsi, così come anche i siti dei nostri clienti. Arriva la telefonata da un mio collega: “Si è schiantato un aereo sulle torri gemelle”, mi dice, “non riesco ad accedere e avere info. E’ tutto bloccato. Ne sai qualcosa?”.  No, gli rispondo io. In effetti non sapevo nulla, non riuscivo a leggere un quotidiano che fosse uno. Sembrava che improvvisamente la rete fosse collassata. Ci siamo diretti al bar all’angolo per prendere il caffè, in attesa che si sbloccasse. Entriamo e la TV era sintonizzata sulla Rai a trasmettere le immagini della CNN che entreranno nella storia. Quelle immagini che ancora oggi mi sconvolgono. Persone attonite davanti al televisore. Ancora non si sapeva cosa fosse successo. Si ipotizzava un attentato, ma nessuno sapeva dirlo con certezza. Passano pochi minuti ed ecco apparire sul video il secondo aereo. Una fiammata e fumo. Era stata colpita anche la torre nord. Facce attonite, mani nei capelli. Era un attentato. Ora si aveva la conferma. Intanto anche il Pentagono era stato colpito e si diceva che un quarto aereo fosse stato dirottato. La prima torre collassò, poi la seconda. Man mano gli avvenimenti si susseguivano, il brusio lentamente scemava come se qualcuno stesse girando la manopola del volume. Un silenzio surreale invase la sala. Un silenzio interrotto dalle sirene dei pompieri, dalle urla catturate da microfoni lontani, dalla voce del cronista che usciva dal televisore. Era successo qualcosa di grosso, di veramente grosso e tutti dall’anziano, all’operaio, al barista… tutti sapevamo che il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Torniamo in ufficio. Silenzio generale. Solo il battere incessante delle dita sulle tastiere. I telefoni non squillano. Sono le 19. Andiamo a casa. “Questa è la storia di una società che sta cadendo e mentre cade, per farsi coraggio, si ripete: fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene… il problema non è la caduta, ma l’atterraggio!”

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