Per un lungo periodo si è discusso in rete sulla Privacy e la tutela delle informazioni personali. Mark Zuckeberg, il creatore di Facebook, sostiene che la privacy non interessa più gli utenti. Altri si fanno paladini sulla tutela delle informazioni personali, sostenendo – a ragion veduta – che andrebbero messi in piedi dei controlli più serrati sull’utilizzo delle informazioni personali da parte di network, siti, ecc.
Se da un lato un effettivo rischio di un utilizzo in malafede dei dati è possibile e deve essere preso in considerazione, dall’altro ritengo sia necessaria la consapevolezza dello strumento che si utilizza. Se si considera oggi la rete come una realtà aumentata, ovvero un estensione della vita quotidiana attraverso sistemi e applicazioni che permettono di “aumentare” l’esperienza, è chiaro che le logiche di approccio devono essere le medesime di quelle utilizzate nella “realtà base” essendo costantemente consapevoli delle opportunità e dei rischi a cui si va incontro.
Si passa, quindi, da una logica normativa ad una questione etica sulla Privacy che deve necessariamente diventare una modalità di comportamento. Estremizzando: se non do al primo che incontro il mio numero di cellulare o il mio indirizzo di casa, la stessa regola deve valere in rete.
Per quanto riguarda chi gestisce le informazioni ed i dati personali, la questione cambia punto di vista. Facebook, LinkedIN e innumerevoli network hanno alle spalle società che sostengono costi e devono generare ricavi. Se offrono servizi “gratuiti” è chiaro che in qualche modo essi debbano generare ricavi per rendere il loro modello profittevole e sostenibile. Le opzioni sono: vendere banner pubblicitari; vendere dati di profilazione utenti; proporre pubblicità targetizzata sulla base dei dati raccolti. Se si vuole avere un servizio gratuito – così come ci hanno abituato – si devono accettare queste condizioni.
A questo punto le opzioni rimanenti sono: o pago una fee di utilizzo – e prentendo quindi la riservatezza dei miei dati – o accetto che i miei dati vengano trattati in cambio di un servizio gratuito. Sicuramente è “populista” e poco praticabile il pretendere la gratuità e il non utilizzo delle informazioni personali.
Alla fin fine va bene a tutti avere una fidelity card per ottenere sconti nel negozio preferito? Eppure lì sono ancora più invadenti, perché tracciano tutti i vostri comportamenti di consumo. Se si accetta questo nella “realtà base”, perché non in quella aumentata?
Ciao Simone,
c’è una terza via che passa per le persone e le lotte che dovranno fare.
Direi che il caro Bruce l’abbia sintetizzato assai bene il quadro d’insieme:
-> Privacy and control
In particolare:
La sua chiusa mi trova completamente d’accordo:
La visione e le tecnologie che abiliteranno maggior aiuto agli utenti ci sono, bisogna investire. Ma se le aziende non hanno motivo di farlo, chi dovrà farlo? Nuove imprese sociali, cooperative?
Una bella sfida .)
Grazie Matteo, interessante intervento, davvero!
la chiusura in grassetto è esattamente quello che sostengo io. Ognuno di noi è responsabile dei propri dati.
L’unica cosa normativamente gestibile è la strumentazione. Le aziende devono predisporre tutte le funzioni che consentano all’utente di gestire i propri dati. Il come gestirli deve essere delegato al singolo. Questo richiede una “cultura” della privacy che non deve passare, però, attraverso il proibizionismo.
Essendo noi in un mondo Globale, questo è un tema che non può e non deve essere delegato agli Stati-Nazione, ma ad organismi internazionali: non europei, non statunitensi, ma mondiali. Organismi che potrebbero essere rappresentati nuove imprese sociali, perché no? Organismi, comunque, che non siano espressione di forze politiche o di interessi privati. Organismi indipendenti che potrebbero nascere in rete.
Il loro compito: definire gli strumenti e diffondere la cultura sull’utilizzo della rete.
Una bella sfida, non c’è dubbio