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Italia e Internet: un paese troppo italiano per crescere.

Nell’articolo “Is Italy Too Italian?”, il NY Times scrive:
“The suspicion of Italians when it comes to extra-familial institutions explains why many here care more about protecting what they have than enhancing their wealth. Most Italians live less than a mile or two from their parents and stay there, often for financial benefits like cash and in-kind services like day care. It’s an insularity that runs all the way up to the corporate suites. The first goal of many entrepreneurs here isn’t growth, so much as keeping the business in the family. For a company to really expand, it needs capital, but that means giving up at least some control. So thousands of companies here remain stubbornly small — all of which means Italy is a haven for artisans but is in a lousy position to play the global domination game.”
Noi italiani, piuttosto di cedere parte del controllo, rinunciamo a crescere. E’ un atteggiamento “nazionale”, forse l’unico elemento che accomuna l’intera nazione.
Questo avviene anche in rete. Se si prova a consultare gruppi o network di nazionalità estera la partecipazione è sempre attiva. Ogni post. nota, discussione conta non meno di un centinaio di contributi. Lo scambio di informazioni, know-how. links e risorse è continuo e vivo. Tutti sanno che il condividere quelle fonti significa cedere parte del proprio know-how, ma il concedersi questo apre la possibilità di farsi conoscere e, quindi, avere ritorni di altro tipo, non solo economici, ma anche formativi.
Gli italiani, invece, sono un popolo di lurker. Tra i GURU, spalmati nella parete delle loro caverne platoniche e dispersi nel loro iperuranio, si continua a parlare dei Social Media, della possibilità di condividere conoscenza, di espandersi fino a “là dove nessun uomo è mai giunto prima”, della rivoluzione in atto. Sì, in atto altrove! Poi guardi l’audience e ti accorgi che sono sempre le stesse persone. Se la raccontano e se la dicono tra di loro, gli “evangelist” non evangelizzano nemmeno i propri figli (e poco sè stessi) per paura che invadano la loro “nicchia” di mercato artigian-digitale.
Qualche giorno fa, su Linkedin, ho aperto il gruppo Italian Business Network solo con un intento: riuscire ad attivare quella condivisione e partecipazione che vedo in tutti i gruppi internazionali. Come prima cosa ho creato il post “Introduce yourself”, a cui ovviamente ho aggiunto subito la mia presentazione e ho invitato gli iscritti (160 in tre giorni) a fare lo stesso. Ad oggi quest’area conta solo 3 contributi. Il gruppo è frequentato su base giornaliera. Tuttavia impera l’atteggiamento da lurker (da chi legge ma non da contributi): le discussioni rimangono deserte, i contributi sono pochissimi e le uniche note di interesse che mi sono pervenute (ovviamente in modalità 1-a-1) sono quelle di titolari di altri network (tutti miei amici) evidentemente interessati a capire se potevo costituire un concorrente.

Così come nell’industria italiana le partnership reali non funzionano (o funzionano all’italiana) e piuttosto di perdere il controllo si rinuncia alla crescita e – talvolta – si fanno passi indietro, anche in Rete la condivisione per lo sviluppo è vista con sospetto”potrebbe arrivare quello che mi ruba l’idea”

E mentre Audiweb esulta sui dati di diffusione dell’utilizzo della rete – anche se i nativi digitali sono poco più del 10% degli utenti della rete – l’Italia è un paese che in 150 anni dalla sua fondazione ha cambiato solo abito, ma non è mai cresciuto: anzi, gli sta abbondante. E’ come vedere quei bambini che indossano il vestito del papà o del nonno. Fanno tenerezza e ci rubano un sorriso quando giocano a fare i grandi senza esserlo.

Published in Internet Italiano Società

9 Comments

  1. Personalmente io avrei voluto introdurmi… poi ho trovato 2 ostacoli:

    – la lingua: perché in inglese?
    – l’introduzione: sono troppi i gruppi che nascono e che me lo chiedono e dove non si fa nulla… perché per una volta non iniziare un gruppo con un’idea o un’attività?

    • le risposte sono semplici:
      1 – l’inglese perché è ad aspirazione internazionale e vuole attirare anche persone dall’estero. Se ti limiti all’italiano, è chiaro che questo non può avvenire. Poi se uno vole scrivere in Italiano, nessuno glielo vieta
      2 – l’imporre delle attività (prima) significa porsi come “mecenate” dispensatore di soluzioni. Io ho sempre visto nella rete la capacità, come avviene in tutto il mondo, di mettere assieme persone che lavorano “assieme” ad una idea. La propositività può venire anche da chi partecipa al gruppo, non solo dal “creatore”
      Il tipico atteggiamento Italiano del “vai avanti tu e casomai ti seguo” è alla base del fallimento di quasi tutti i progetti non sono di networking ma anche di business. E’ l’atteggiamento che poi fa costruire cattedrali nel deserto…

  2. ok simo, sulla prima concordo, sulla seconda non intendevo un’attività imposta per carità ma un’idea di engagement che sappia attrarre verso il gruppo 😉

    Grazie per la risp!

  3. ah ok Davide, allora avevo capito male io… beh, questo è un altro discorso e possiamo anche discuterne… anzi, le idee sono sempre benvenute 🙂

  4. Ecco, quindi siccome mi è piaciuto il tuo post lo condivido … sono poco italiano? 😉

    Scherzi a parte, è vero. Hai scritto un post che mi ha fatto riflettere ed è raro che mi capita visto che il tuo post fa parte di una serie di interminabili post sul piangerci addosso, ma hai ragione.

    Una cosa: nel mio blog ci sono pochi commenti e molti RT. Io però uso un sistema di commenti molto sociale, per fare in modo di rendere quei pochi che commentano più uniti.

    Enrico … che ti ha appena fatto RT.

  5. Ciao Enrico, grazie per l’RT poco italiano 🙂
    forse il tono è quello del piangerci addosso, ma è una constatazione che se prima era un sospetto, da quando ho iniziato a frequentare gruppi e network esteri è diventata una certezza. C’è da chiedersi il perchè e capire come mai avviene e, quindi, porvi rimedio.
    Esistono casi anche in Italia di network che funzionano bene, ma sono casi singoli, mentre in tutti i gruppi “esteri” è la normalità. Questo è un dato che va tenuto in considerazione…

    Sto guardando il tuo Blog, e mi incuriosisce il sistema dei commenti molto sociali… me lo spieghi? 🙂

  6. Ciao Simone,
    Semplicissimo il sistema dei commenti sociali: un banale plugin come http://disqus.com/ oppure http://intensedebate.com/.

    Io uso il primo. Il grande vantaggio è che mi consentono di sapere quando una persona aggiunge un commento ad una discussione a cui sto partecipando. Chi (poco italianamente) commenta molto a volte si dimentica dove ha scritto e non va a leggere le repliche.

    Disqus e Intense Debate quando ci sono mi aiutano a ricordare e a tenere traccia dei miei commenti e mi informano quando qualcuno risponde a ciò che ho detto.

    • ah ok. Ho utilizzato per un periodo InteseDebate ma il mio WP ha iniziato a fare le bizze dopo l’installazione. Ho sistemato, accrocchiato, messo pezze… poi ho deciso di rimuoverlo 🙂 Magari installerò Disqus…

  7. Opps … quando ho scritto “Chi (poco italianamente)” ho fatto un errore.

    La frase corretta è “Chi come me (poco italianamente 😉 ) …”

    Con tanto di emoticona per fare capire che era una battuta. Ecco Disqus e Intense debate mi avrebbero consentito di correggere il mio post da solo. 😉

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