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Tag: Communication

Internet ha un altro alfabeto ignoto

Aristotele applaudirebbe al ragionamento di Mafe su alfabeto e internet. In effetti all’interno della dissertazione, non fa una piega. Tuttavia sul concetto di Alfabetizzazione andrebbe fatta una spiegazione migliore. L’alfabeto è frutto di una convenzione per cui un simbolo “A” è riconosciuto come “A”, ma questa associazione è determinata da secoli e secoli di convenzioni e aggiustamenti successivi. L’alfabeto latino, ad esempio, nasce nell’VIII sec. a.c. da quello Greco (da cui il termine alfa-bet-izzazione – alfa e beta sono le prime due lettere dell’alfabeto greco) e ha avuto, nel corso dei secoli, numerose modifiche fino a giungere alla versione attuale. La stessa cosa vale per altre lingue con “codici” diversi, come ad esempio il Cinese e l’Arabo. Prendiamo ancora il codice morse. E’ una lingua artificiale studiata per essere utilizzata con uno strumento (la trasmissione a onde radio). O ancora al codice binario (che si basa sul principio del codice morse) utilizzato per fare calcoli e dare istruzioni a una macchina. Qualsiasi forma di comunicazione si basa sull’assunto che due persone possano comprendere il medesimo messaggio utilizzando un codice e un canale condiviso attraverso cui trasmetterlo dall’emittente al destinatario. Internet è un canale, l’Alfabeto è un codice. Ma allora si può alfabetizzare internet? Si, a patto che venga definito un codice. Mafe dice: I bit possono essere tutto quello che voglio io e quello che voglio e ci faccio io è diverso da quello che vuoi e ci fai tu e questo è il bello ed è per questo che non posso “alfabetizzarti”, al limite posso confrontarmi con te, posso raccontarti come ho fatto, perché l’ho fatto, se ha funzionato e per fare che cosa. Qui è, a mio avviso, la parte debole del ragionamento. Intanto si passa dall’analisi di uno strumento a quella di un codice. Inoltre il codice è quello base di trasmissione. Anche con l’alfabeto teoricamente posso farci quello che voglio pur mantenendolo intatto. Posso ad esempio scrivere DASTWQZEXC: mantengo intatta la struttura dell’alfabeto, creando però un qualcosa di completamente nuovo. Qualora DASTWQZEXC assumesse un valore condiviso, esso si tramuterebbe a sua volta in codice e sarebbe possibile insegnarlo. Una sequenza di BIT (1 e 0), allo stesso modo, posso mescolarla più e più volte creando un nuovo codice che può diventare a sua volta una lingua che posso trasmettere. Il punto però è un altro. Alfabetizzazione digitale significa individuare i mattoncini che costituiscono quell’ecosistema all’interno del quale costruire un codice utilizzabile su un canale. E’ un lavoro in essere e frutto di progressivi aggiustamenti. Non sappiamo ancora bene dove guardare e dove andare, ma la strada verso la creazione di un “alfabeto” è aperta proprio da quei confronti di esperienze che ben evidenzia Mafe. Quindi è proprio sapendo…

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Italian Social Media Emargination

Sono rammaricato e in parte frustrato nel vedere come l’Italia, il sesto paese europeo per numero di utenti internet, abbia un approccio snob e “nazionalista” nell’utilizzo del mezzo. L’italiano interagisce e pubblica solo in Italiano e, tutto ciò che è in Inglese, semplicemente lo snobba. Un nazionalismo molto probabilmente dettato da mancanza di conoscenza della lingua (l’Italia è al 23° posto per l’indice di conoscenza dell’Inglese). Ho visto molti giornalisti e blogger italiani rinunciare all’utilizzo del britannico idioma in favore di quello tricolore. E sono convinto che la loro non sia stata una scelta voluta, ma di necessità. Chi ha tentato di adottare l’inglese come lingua ufficiale della propria attività in rete, ha sicuramente registrato un calo drastico di partecipazione. Il problema non è il campanilismo o la sudditanza all’imperialismo anglosassone, ma di relazione e comunicazione ed anche di opportunità. L’inglese resta pur sempre la lingua straniera maggiormente diffusa al mondo come seconda lingua. Un paese che si sta sforzando per tenere il passo con il mondo e magari è anche fucina di idee e tendenze, isolandosi dal contesto globale per la mancanza di conoscenza della lingua internazionale, resterà continuamente fanalino di coda dello sviluppo mondiale ed emarginato.  

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Advertising: non mi piace, mi piacerebbe

Niente, benché continui a leggere delle potenzialità dei social media nell’advertising c’è qualcosa che continua a stonare. Non sono i social media, ma il concetto attuale di advertising. Pubblicità, pubblicità, pubblicità. Sarà perché è una parte del mio mestiere, sarà perché come tutti ne sono bombardato (dalla cassetta delle lettere, all’email), sarà perché se leggo “offerta speciale” cerco subito l’asterisco… L’advertising non mi piace. Non mi piace lo stile di comunicazione e la totale assenza di creatività. Non mi piacciono quelle iperboli sociali trasmesse di tutto è bello se compri il mio prodotto. Non mi piace il fatto che non si capisca mai cosa ti stanno vendendo perché, poi, c’è quel maledetto asterisco che ti dice “non è niente vero” Non mi piace l’invasività sulla carta, nel video, nelle pagine web. Non mi piace che qualcuno mi dica compra. Mi piacerebbe che mi fosse detto: Guarda, io sono uno dei tanti, il mio prodotto è uguale agli altri, ma devo pur vivere anch’io Guarda, lascia stare, non posso cambiarti la vita, ma ti posso aiutare a renderla più semplice Guarda , se non credi a quello che ti dico, chiedilo ai tuoi amici Guarda, se compri un giornale, capisco che tu non possa avere un articolo e 4 pagine di pubblicità. Quindi, se vuoi sapere cosa faccio, vieni sul mio sito, altrimenti fanne a meno Guarda, quello che ti dico non ha asterischi. Insomma, mi piacerebbe che mi rispettassero come persona.

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Web, un altro medium

Dagli anni 20 la scuola di Francoforte tentò di analizzare il potere dei mass media nel controllo delle masse elaborando un insieme di teorie che descrivevano i processi di controllo dell’opinione pubblica. In tale contesto fu sviluppata la teoria dell’ Agenda Setting, secondo la quale i mass media (Radio, TV, Giornali) erano in grado di determinare le priorità sociali attraverso la selezione e la ripetizione di precisi messaggi. Successivamente, ci si rese conto che questo processo era possibile solo se, ad amplificare il messaggio, ci fosse un opinion leader riconosciuto come autorevole e credibile dall’audience. Questa teoria (comunicazione a due stadi) è applicata ancora oggi nel marketing introducendo il “testimonial” nelle campagne pubblicitarie. La rete potrebbe sembrare da questo fenomeno per effetto dello spostamento dal centro alla periferia della produzione dell’informazione, per il moltiplicarsi delle fonti e per l’assunto della volontà di approfondimento  e di partecipazione da parte degli utenti. Anche se le modalità di produzione e di fruizione dell’informazione sono nettamente differenti rispetto ai media tradizionali, taluni fenomeni sono assimilabili a queste teorie. Si pensi al fenomeno delle blog-star che si è manifestato qualche anno fa. Talune blog star erano giunte ad una credibilità ed autorevolezza tale che addirittura i mass media stessi ne venivano influenzati, riprendendo notizie senza alcuna verifica (talvolta prendendo delle cantonate clamorose). Oggi nei social network il principio potenzialmente è lo stesso. Dalle blog-star si passa alle network-star che si misurano su criteri quantitativi (numero di contatti, numero di commenti) ed alcuni criteri qualitativi (autorevolezza, misurabile nel numero di riprese e condivisione dei contenuti prodotti o segnalati e qualità dei contatti). Potenzialmente queste persone diventano il canale di amplificazione di un messaggio deciso a priori da qualcun altro che, in questo modo, è in grado di raggiungere un target ampio e superare meglio i filtri che sono stati naturalmente sviluppati verso l’advertising o la “propaganda”. Maggiore e più ampio è il network e maggiore è l’indice di autorevolezza riconosciuto alla persone che sono incluse, minori sono le probabilità che possa essere smentito. Non che non possa avvenire, ma chi lo smentisce deve naturalmente avere un indice di credibilità superiore. Il tutto perché l’autorevolezza riconosciuta aumenta esponenzialmente sulla base del numero e dal grado di “credibilità” delle persone. A questo va aggiunto il principio di omologazione che caratterizza qualsiasi gruppo sociale, ed ecco che potremo sostenere, esagerando, che la terra è quadrata e nessuno si permetterà di smentire. Come citato su Wikipedia nelle conclusioni sull’Agenda Setting: Il mondo di internet non fa tuttavia eccezione, semplicemente ciò non si nota perché le dimensioni dei fenomeni sono rapportate alla frantumazione dei gatekeeper presenti sul web. Il vero passo in avanti quindi potrebbe non essere la presunta novità del…

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COMUNICARE IL 2.0

Dire che il web 2.0 è una rivoluzione è un falso e antieconomico. Parlare di 2.0 come evoluzione, aggiornamento tecnologico e non rivoluzione, significa inquadrare nei giusti limiti il fenomeno e agevolarne la diffusione nelle imprese. Se le parole hanno ancora una valenza (e a mio avviso ce l’hanno), la cosiddetta rivoluzione del 2.0 è una bufala di dimensioni galattiche. Ho avuto già modo di introdurre l’argomento e di essere accusato di eresia dai network-taliban. Resto tuttavia convinto che nell’avvento del 2.0 si registri SOLO un upgrade di natura tecnologica e non una reale rivoluzione, come spesso si tende a sottolineare. Partiamo dalla definizione di web 2.0 diffusa attraverso Wikipedia (Inglese): “Web 2.0” refers to the second generation of web development and web design that facilitates information sharing, interoperability, user-centered design[1] and collaboration on the World Wide Web. The advent of Web 2.0 led to the development and evolution of web-based communities, hosted services, and web applications. Examples include social-networking sites, video-sharing sites, wikis, blogs, mashups and folksonomies.” Nella prima parte si parla di una “seconda generazione” di applicazioni web che facilitano la condivisione di informazioni, l’interoperabilità., la collaborazione sul Web. Io ho iniziato ad utilizzare la rete a fine degli anni 80 con il mio vecchio Commodore64 collegato ad un Adattatore Telematico (modem) , collegandomi a Videotel e BBS. Già allora esistevano le community, già allora si scambiavano informazioni. L’interfaccia, certo, era a caratteri, gli strumenti limitati, la diffusione della rete non era massiva e limitata ad un nucleo ristretto di utenti, ma la collaborazione esisteva. Negli anni successivi arrivò il Gopher e poi l’http e la possibilità di creare pagine web. La creazione richiedeva la conoscenza dell’HTML e competenze tecniche. Già a metà degli anni 90, molti host rendevano disponibili script in Perl per la gestione dei Forum e Javascript per l’aggiornamento delle news sul sito nonché le “bacheche” dei visitatori (preludio allo user-generated-content). La tecnologia era quella che era e richiedeva delle competenze sicuramente non alla portata di tutti. L’evoluzione tecnologica ha permesso, prima con strumenti WYSWYG e poi con applicativi web based di facilitare la pubblicazione di contenuti e questo ha dato una spinta all’accesso. Ma è una questione meramente tecnologica The term is now closely associated with Tim O’Reilly because of the O’Reilly Media Web 2.0 conference in 2004.[2][3] Although the term suggests a new version of the World Wide Web, it does not refer to an update to any technical specifications, but rather to cumulative changes in the ways software developers and end-users use the Web. Whether Web 2.0 is qualitatively different from prior web technologies has been challenged by World Wide Web inventor Tim Berners-Lee who called the term a “piece of jargon”[4].”…

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