Le polemiche sulla condanna di Sallusti fanno un po’ sorridere per alcune ragioni. Innanzitutto perché tutti si sono soffermati sulla “sproporzione” della pena ma nessuno ha si è preoccupato inizialmente di andare a ripescare l’articolo oggetto della causa Lo fa Alessandro Robecchi nel suo blog e fornisce il link all’articolo in Rassegna Stampa della Camerda dei Deputati. [MIracolosamente l’articolo inizia ad apparire il giorno successivo al post di Robecchi.] In secondo luogo si fa passare la sentenza come “reato d’opinione”. In realtà l’articolo non da solo una opinione personale di chi scrive (che giustamente può condividere o meno un avvenimento), ma stravolge interamente i fatti assegnando responsabilità a chi responsabilità oggettiva non ne aveva e dando false informazioni sulla circostanza. Infine perché solo ora, e solo per il fatto che il condannato è un giornalista, si parla di sproporzione della pena in una sentenza per diffamazione? Oltre che a far sorridere, fa pure un po’ incazzare. Chi tiene un blog, in cui mette del proprio, avrà almeno una volta sperimentato la minaccia di accusa di diffamazione da qualcuno (spesso dettata da sottovalutazione, fretta e noncuranza). Se un blogger amatoriale può rischiare un tale processo qualora dia informazioni sbagliate, perché un direttore di testata – “certificato” dall’iscrizione all’ordine dei giornalisti e sottoposto a codice deontologico – non dovrebbe esserlo? Alcuni sostengono che l’Italia sia l’unico paese in Europa ad annoverare la diffamazione tra i reati penali. Non lo so e mi fido. Tuttavia la diffamazione a mezzo stampa, visto l’influenza generata ancora dal circuito dei mass media, comporta gravi danni e, come abbiamo visto in più occasioni, rovinare definitivamente la vita al diffamato. Di conseguenza la responsabilità di un giornalista/editore è la stessa di chi può decidere sulla vita o sulla morte della persona oggetto dell’articolo. Forse il carcere sarà una misura estrema ma, come dice Michele Serra nella sua Amaca, “questo non alleggerisce di un grammo le responsabilità morali e sociali di chiunque usa pubblicamente le parole; anzi le aggrava, perché l’esercizio della libertà di opinione circonfonde i giornalisti di un’aura di intoccabilità […] della quale è vile approfittatore”. Dunque l’informazione è un diritto ma è anche un dovere di correttezza. Se oggi teniamo l’Ordine dei Giornalisti, dovrebbe essere solo per garantire quello (e non per tutelare il giornalista).
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Uno dei doveri del giornalista è la verifica delle fonti. Il giornalista è chiamato ad assicurarsi che la fonte della notizia sia credibile e corrisponda a verità. Il giornalismo classico, dalla carta stampata al televiso e radiofonico ha l’oggettiva difficoltà di citare le fonti per la necessità di rendere la notizia il più possibile comprensibile. Internet risolve questo problema. Il protocollo HTTP (hyper text transfer protocol), infatti, nasce con l’obiettivo di collegare testi e informazioni presenti in punti diversi della rete all’interno di un testo. Il giornalismo online, quindi, può superare il limite dei media tradizionali arrichendo i propri contenuti rendendo disponibili le fonti. Sembra, tuttavia, che questa sia una prassi non molto usuale. Quando presenti i collegamenti rimandano a link interni o ad altri approfondimenti, molto meno alle fonti. In pezzi che commentano provvedimenti o normative, ad esempio, quasi mai si inseriscono collegamenti ai testi originali. Eppure tali documenti sono pubblicati sui siti di Camera dei Deputati, Senato e Governo. Utilizzare l’ipertesto per citare le fonti dovrebbe essere una regola, se non un obbligo. Il riferimento alle fonti e l’utilizzo dell’ipertestualità è più frequente tra i blogger – che non hanno vincoli e codici di comportamento – per costruirsi una reputazione e una credibilità. Meno tra i giornalisti che sono garantiti dal codice deontologico e dalle varie carte dei doveri ? Infine, grazie alla multimedialità e multicanalità di oggi, i vantaggi anche da un punto di vista editoriale sono enormi. La possibilità di creare contenuti arrichiti è quasi sconfinata. Ed è lì che si gioca la differenza tra chi sa cogliere le potenzialità reali della rete e chi, invece, la utilizza come uno dei canali di comunicazione di massa. Ma sarebbe sufficiente, per il momento, ripartire dall’ipertesto.
One CommentE’ tempo di seppellire l’ascia di guerra tra l’informazione mainstream, rappresentata dai mass media, e la micro informazione di blog, social network e twitter. Mi sento di dire che l’una non esclude l’altra e che, anzi, l’una ha bisogno dell’altra. Oggi le posizioni sono abbastanza nette: i mass media sostengono che la micro informazione non è verificata e che, quindi, si deve stare attenti. I micro-informatori, dall’altra, vedono nel mainstream un sistema pilotato da interessi politici ed economici e, quindi, una informazione di parte. Da sempre sono convinto che l’informazione imparziale sia impossibile, anche quando questa si limita a riportare un fatto. L’imparzialità si esprime anche solo nel porre attenzione (volontariamente o meno) più ad un elemento rispetto ad un altro, nella scelta di una parola al posto di un’altra. Per non parlare, poi, delle fonti che vengono citate dove questa tendenza è ancor più evidente. Integrare la micro e la macro informazione è possibile. La micro-informazione, per la numerosità dei partecipanti, diviene parte del processo di verifica delle fonti nonché essa stessa può essere una delle fonti da cui attingere notizie. L’informazione mainstream diventa il canale di verifica ulteriore e amplificazione dei temi di interesse della popolazione. L’informazione viene creata dal basso, verificata e diffusa da quella mainstream. I vantaggi sono per entrambi le parti: la micro informazione, per il processo di attendibilità che la caratterizza, attua una selezione naturale sulle fonti e opera una verifica misurabile e testabile quantitativamente e qualitativamente (di cui rimane traccia nella rete). Ha inoltre la possibilità di determinare l’agenda setting ed influenzare i temi sociali i mass media hanno la possibilità di accedere a fonti numericamente maggiori e diversificate. Possono verificare quali sono i temi di maggior interesse e confezionare un prodotto di sicuro appeal per i propri lettori (con un evidente ritorno economico in termini di vendite e capacità di attrarre investimenti pubblicitari). Inoltre la possibilità di avere “l’appoggio” dei lettori consentirebbe di riconquistare quell’autonomia da quarto e quinto potere che in questi anni si è persa. Disseppelliamo il calumet della pace per creare il Sesto Potere?
4 CommentsQuesta sera Grillo torna in TV e lo fa proprio sul LA7, la rete del suo “amico” Tronchetti Provera. Nell’intervista rilasciata a Repubblica, Ilaria d’Amico fa una affermazione su cui mi trova completamente d’accordo: “[…]Ci si paralizza all’idea di essere controllati, verificati. Si ha paura di essere polticamente poco corretti. L’informazione non dev’essere politicamente corretta, deve dare voce a consenso e dissenso insieme. Quando si cerca di fare informazione politicamente corrette, si fa un’altra cosa, che non è informare i cittadini, ma è non disturbare il potere.” Beh qualcuno mi può dire che il codice deontologico dell’ordine dice esattamente le stesse cose. Peccato che questo non sia sempre vero, specie qui in Italia e qualche amico giornalista mi da anche ragione. Non si tratta di voler fare polemica a tutti i costi: si tratta di creare quel sano contraddittorio che permette di pensare e di porre di fronte alle proprie responsabilità le persone, senza permettergli di nascondersi dietro al “Sono stato frainteso”. Poi capisco, tutti abbiamo bisogno di lavorare per vivere…
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