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Tag: Meeting Nazionale di Scienze della Comunicazione

B-to-B to Facebook

Sono stato invitato ad iscrivermi alla fan page facebook di Value Team. Ovviamente non ho potuto esimermi dall’entrarne a far parte. Mi sono subito posto la domanda: “Ma una azienda come Value Team cosa ci fa di una fanpage su facebook?”. Può essere lecito chiederselo, se si pensa a facebook come un insieme di ragazzini che non hanno niente di meglio da fare se non controllarsi le pagine a vicenda o a cercare contatti o giocare ad uno delle migliaia di advergame presenti. Il social network conta tra i propri iscritti molti professionisti. Non sono solo addetti ai Sistemi Informativi (smanettoni per definizione) o professionisti di marketing (curiosi di qualsiasi novità). Sempre più spesso si tratta di AD, General Manager, HR Manager. Perché questi signori si iscrivono a Facebook, quando per le relazioni di business ci sono strumenti quali LINKEDIN, XING e altri? Ho provato a darmi qualche risposta: Facebook permette maggiore “comunicazione”. Mentre in LinkedIN, ad esempio, per interagire con le persone puoi usare o le email o, nel caso in cui tu sia iscritto a qualche gruppo, le discussion board, Facebook offre: chat (comunicazione sincrona), Wall (comunicazione asincrona ma 1-a-1), Private Messages, Gruppi All-in-one. Dai gruppi più “seri” al divertissement allo stato brado. Su Facebook posso fare un po’ quello che mi pare a seconda del momento. Inform-alità e Inform-azione. Dalle interazioni sui wall, ai contributi nei gruppi, posso ottenere tutta una serie di informazioni indirette sul mio interlocutore che non mi offrono i business network. E’ proprio l’aspetto informale ad essere il punto chiave. Ecco che Facebook diventa, quindi, una piazza in cui anche un’azienda B2B può trovare il proprio spazio. Per fare cosa? Le potenzialità dipendono come sempre dagli obiettivi. Resto convinto che non sia un canale di vendita, ma di relazione. Quindi perché la mia azienda B2B dovrebbe aprire una fan page? Alcune considerazioni già le feci in un altro post. Condivido completamente anche quanto sostenuto da Mac McIntosh: For complex sales with an extended consideration and buying process, keeping in touch is important over the long term, and networking offline and online can keep your people top-of-mind with prospects. First seek out those you know in your company to be well-networked, see what tools they’re using and if it’s making a difference. Consider implementing a department-wide or company-wide set of services such as Facebook, LinkedIn, or others, and encouraging those inside your company to link with prospects and current customers. It’s one way to stay in the know about what the market needs and to let them know when you’ve got a new solution to help their business. One issue you might be faced with is maintaining the quality of communication and a consistent…

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Il senso delle associazioni di comunicazione

Essere uomini di comunicazione non dipende solo dal titolo di studi e non è sufficiente avere una associazione che rappresenti i laureati. Certo, è importante nel momento in cui devo promuovere una professionalità. Ma come posso farlo se poi il mio biglietto da visita è questo?  Non lo dico solo per critica fine a se stessa e non è questo il punto dell’intervento, ma ritengo che ci debba essere sempre coerenza tra le cose.  A cavallo del nuovo millennio, in 12 studenti avevamo dato vita all’AISCOM, Associazione Italiana Sviluppo Scienze della Comunicazione con l’obiettivo di promuovere la figura del professionista di comunicazione e di creare un “laboratorio” di esperienza per i laureandi. Se volete saperne di più, qualche traccia in rete si trova ancora. Uno degli aspetti che ritenevamo importante era la collaborazione da un lato e dall’altro la libera iniziativa. I Meeting di Scienze della Comunicazione promossi da AISCOM e da Scienzedellacomunicazione.com del caro amico Stefano Mosetti  (promotore anche di AISCOM) erano momenti di palestra per i laureandi. Le 4 edizioni realizzate dal 2000 al 2004 erano itineranti. In ciascuna sede si costituiva un comitato organizzativo composto dagli studenti dell’Ateneo che ci ospitava. C’era il comitato scientifico che includeva il Presidente, i docenti del Corso di Laurea e alcuni professionisti. Sotto il coordinamento del comitato scientifico (e non dell’associazione), gli studenti si occupavano di tutto: location, agenda, sponsorizzazioni, media relation. Insomma: una macchina di lavoro in cui ognuno poteva trovare il proprio posto e poteva mostrare quello che sapeva fare.  Oggi lo chiameremo Social Network, ieri Community o Associazione: l’etichetta è poco importante. Un’associazione “corporativa” dovrebbe avere questo obiettivo: essere laboratorio di esperienza o quanto meno qualcosa di più di un semplice brand. Deve dare dei contenuti e delle opportunità reali (formazione, lavoro, o altro ancora) a chi decide di farne parte.  Ritorno ad un invito già fatto tempo addietro: ha poco senso parlare di appartenenza a questa o quella categoria professionale. Gli Albi sono delle inutili caste non meritocratiche, in difesa di “privilegi” acquisiti non si sa bene a che titolo. Ha più senso, visti i tempi, riuscire a dimostrare le proprie capacità. Le associazioni “corporative” dovrebbero agevolare questo.

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