Le parole non sono giocattoli e la superficialità nel loro utilizzo rischia di fare cattiva informazione. Questa mattina l’Ansa ha battuto una agenzia sull’introduzione di insegnamenti in lingua curda nelle scuole della Turchia. Nell’Agenzia l’Ansa definisce Erdoğan “Pemier islamico nazionalista”. Informazione non solo “tendenziosa” ma palesemente falsa. Erdoğan, infatti, è leader del partito AKP che nella sua definizione è un partito moderato islamico, paragonabile per molti aspetti alla Democrazia Cristiana: si rifà alle radici religiose e le reinterpreta in funzione democratica. La connotazione nazionalista è una caratteristica innanzitutto di MHP (Muhafazakar Parti – Partito Conservatore), il partito di estrema destra di ispirazione islamica, e di CHP (Cumhurriyet Parti – Partito della Repubblica) – partito fondato orignariamente da Mustafa Kemal Atatürk di tradizione laica. L’Ansa poi continua agganciando alla notizia gli scontri che comunque stanno avvenendo tra il PKK e l’esercito turco. Scelta che non ha un senso all’interno di questo lancio e che lascia intendere una sovrapposizione tra CURDI e PKK, dove quest’ultimo è l’espressione di una parte della popolazione curda ma non la sua totalità. Quindi qual è il messaggio alla fine? 1) La Turchia è governata da un nazionalista islamico (l’Hitler mediorientale?) 2) I curdi sono cattivi e non accettano l’apertura del buon capo Mi si dirà: “ma sono solo 8 righe, chiaro che non possono riassumere tutta la situazione”. Vero. Tuttavia la scelta di includere dettagli ( “premier islamico nazionalista” e scontro PKK – esercito) è una chiara scelta di voler dare una chiave di lettura alla notizia. Al di là del singolo caso, la costruzione della notizia è la parte più importante di tutto il processo informativo. Sulle scelte o sugli errori (volontari o meno) delle definizioni, dei fatti e delle parole si costruisce e si determina l’opinione pubblica.
One CommentMonth: June 2012
Ci sono corsi e ricorsi storici, e schemi di comportamento che noi Italiani abbiamo perpetrato ciclicamente in vari ambiti. Dopo il grande successo del Cinema muto italiano prima della Prima Guerra Mondiale (in cui le case di distribuzione americane compravano i nostri film a scatola chiusa), l’industria non ha saputo rinnovarsi ed entra in una fase di profonda crisi. Tanto che George Kleine, distributore che in america aveva l’esclusiva dei film prodotti sin dal 1907, scrive a Pedrazzini, direttore della CINES: “A mio parere una società che desidera conquistare il mercato americano deve essere consapevole che lo stile italiano di recitazione, così come il tipo di storia che attrae i pubblici latini non avrà alcun interesse per il pubblico americano” – G. KLEINE, Memorandum for Dr. Pedrazzini (12 Novembre 1923), in Kleine Papers, Motion Picture Division, Library of Congress, Washington Tra le cause di questo mancato “ammodernamento”, secondo Gian Piero Brunetta, vi è anche la mancanza di un ricambio generazionale. Gli uomini “non sembrano più in grado di percorrere nove strade, di concepire prodotti per il mercato internazionale” (Gian Piero Brunetta (2003: 61), Guida alla storia del Cinema Italiano,Giulio Einaudi Editore s.p.a, Torino). “Da un certo momento in poi si ha l’impressione che i diversi soggetti in campo – produttori, resgisti, attori, critici e pubblico – siano incapaci di comunicare tra loro. Il disorientamento cresce anche a causa […] dell’emorragia di tecnici e maestranze attirati da altri paesi europei.” (ibid.) Ho una sorta di Déjà vu. Voi no?
Leave a Comment