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Spaccati dentro

L’Italia è il paese dei mille campanili. Una descrizione che credo di aver sentito da quando sono nato ma, per me, era una questione puramente geografico-urbanistica adornata di un po’ di sano campanilismo che, tutto sommato, può andar bene per creare quella competizione tesa allo sviluppo.

Invece no, siamo proprio spaccati dentro.

Ricordo che tempo addietro mi imbattei in un post su Il Fatto quotidiano (questo, ve l’ho ripescato) che descriveva l’Italiano all’estero come quello che non si integrava con la popolazione residente, non ne accetta la cultura e che cercava di creare la little Italy. A quell’articolo ne seguì un altro (questo, sempre su Il Fatto Quotidiano), in cui si tentava di smontare quello precedente. Dei due, il secondo, a mio avviso, si avvicina di più al profilo reale. Entrambi, tuttavia, sono parziali.

Quando ti muovi all’estero sei straniero in terra straniera, ti aspetti solidarietà, voglia di aiutarsi, specialmente quando la comunità è piccola, come quella in Turchia, dove su un totale di 77 milioni di abitanti la tua comunità è composta da circa 4.000 anime.

Invece no. Nei rapporti con i connazionali, nella maggior parte dei casi, ti trovi ad affrontare gli stessi identici problemi che eri solito affrontare quando vivevi in Italia. Con una piccola differenza: che mantenendosi le stesse proporzioni ma riducendosi il numero assoluto, si riduce anche il numero reale di relazioni “sane” che puoi costruire.

Si sa, siamo in generale un popolo invidioso o, meglio, siamo un popolo delle “comari”. La nostra migliore immagine la danno i film del realismo e neo-realismo, dove le donne affacciate sul balcone, fanno pettegolezzi sulla vicina di casa.

Non siamo cambiati da allora. Quella dimensione è la stessa che oggi puoi ritrovare sotto altre forme quando vivi all’estero.

L’Italiano all’estero gode degli insuccessi dei suoi connazionali, rode per i successi. Se in qualche modo ti reputa una “minaccia” a livello professionale, farà di tutto per metterti i bastoni tra le ruote.

Aperto a relazionarsi con il territorio, limita a poche unità i connazionali con cui interagisce. Solitamente questi sono appartenenti all’ambiente lavorativo; così trovi i militari in missione Nato a frequentare i militari in missione Nato; il personale delle istituzioni, a frequentare chi gravita attorno alle loro istituzioni; chi ha una attività, a frequentare possibili clienti.

Se già anche in Italia l’Italiano è mediamente opportunista, all’estero diventa mercenario: si vende al miglior offerente al grido di “tengo famiglia”. E c’è da notare che, specie in paesi che non sono destinazione di emigrazione di massa, oltre il 90% degli Italiani vive in condizioni economiche agiate (o con un tenore di vita sicuramente superiore a quello che aveva in Italia) e, quindi, non si presenta nemmeno quello stato di necessità che quantomeno potrebbe far comprendere questo tipo di atteggiamento.

Se fa comodo, si può dare la colpa alle Istituzioni (consolati e ambasciate, camere di commercio, centri culturali) ma il vero problema è che l’Italiano ad essere fatto male e, se lo metti in cattività diventa anche peggio.

Non è una questione di emigrazione in generale. Se guardi alla comunità francese, tedesca non è così. Lo percepisci da mille piccoli dettagli: dalla partecipazione alle loro feste nazionali, alla organizzazione di attività di promozione culturale, ma anche dalle iniziative associative promosse dai singoli e rivolte alla propria comunità. Partecipazione, partecipazione, partecipazione: senza alcuna distinzione di “ruolo sociale”.

L’Italiano, invece, tende ad essere classista: invita chi è importante, chi è importante partecipa se c’è qualcun altro di importante. Non importa cosa fai ma chi partecipa. La prima domanda che ti viene posta non è “Di cosa si parla?”, ma “Chi c’è?”.

Se non notate alcuna differenza con l’Italia. siete nel giusto.

Esiste un profondo problema culturale che non dipende dal governo o dalla politica. Essi sono solo espressione di questa mentalità. Dipende dal singolo. E’ l’Italiano ad essere spaccato dentro.

Non credete?

Published in Italiano Società

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