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Author: Simone Favaro

Techno and humanist enthusiast. I'm in the technology marketing sector. I'm even the author of a book about on-line business networking.

Il mio “Passaparola” sulla Turchia

Fatti salvi cambiamenti all’ultimo, lunedì 24 dovrebbe essere pubblicato il mio racconto della Turchia nella rubrica PassaParola del sito di Beppe Grillo. Prima che qualcuno mi accusi di essere incoerente, viste le dichiarazioni fatte, ci tengo a sottolineare che sino all’ultimo sono stato indeciso se rinunciare o meno all’intervista. La proposta di partecipare al passaparola mi era arrivata ancora il 13 di Giugno e diedi subito la disponibilità a registrare. Quando è uscita la notizia dell’espulsione della senatrice Gambaro, preso dalla indignazione pensai di rinunciare per un fattore di coerenza, tanto da aver espresso il mio dubbio anche con lo staff. Va detto che, dall’altra parte, ho trovato comprensione e nessun tentativo di convincermi a continuare. Alla fine ho deciso di continuare e di completare la registrazione. Avevo preso un impegno e, come ho detto anche allo staff, non me la sentivo di venir meno a una promessa fatta. Inoltre sà tratta di una iniziativa che è incidentalmente collegata a quanto succede nel movimento. Si tratta, alla fin fine, di informazione. Nel Passaparola, quindi, ho raccontato di come è nata la protesta di Gezi Parki, di quale è il contesto in cui si inserisce, del ruolo che hanno avuto televisione e carta stampata, dei social media, di come si vivono questi giorni a Izmir e di quali scenari si stanno aprendo (dalle leggi sulla regolamentazione dei social media, ai rapporti con l’europa, alla nascita dei assemblee pubbliche ed altro ancora). Al di là di tutto, spero solo di aver dato un punto di vista in più.

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La Turchia e il caso Gambaro

Non ho mai fatto mistero di essere stato un sostenitore ed elettore del Movimento 5 Stelle e di averlo difeso dall’attacco e dal fuoco incrociato a cui era ed è sottoposto. Però il caso Gambaro ha superato la soglia per me invalicabile del diritto di opinione e di critica. Non mi interessa il cosa ha detto o come si è comportata, ma il modo in cui il Movimento ha reagito e come è stato gestito il tutto, con l’apoteosi delle votazioni on line che avevano il sapore del linciaggio pubblico. Da quando ero bambino, credo, ho sempre sostenuto la libertà ed il diritto di poter dire quello che penso, le mie opinioni e mi ricordo che mi arrabbiavo come un matto quando capitava che qualcuno, per qualsiasi motivo, non mi permetteva di farlo. Tuttavia, anche quando sono stato minacciato di querela per cose scritte su questo blog, ho sempre avuto in me la certezza che quel diritto di opinione e di dissenso, nonostante tutto, nessuno avrebbe potuto toccarmelo. E così è stato fino a un paio di settimane fa, con l’inizio della protesta a Gezi Parki. Quando vedi persone fermate (e rilasciate dopo poco tempo) per aver twittato informazioni durante le proteste. Quando vedi avvocati e medici fermati (e rilasciati dopo poche ore) perché soccorrevano e si prestavano al supporto dei manifestanti. Quando vedi manifestanti caricati non per danni causati, ma solo perché manifestano. Quando vedi tuoi concittadini prendere in mano bastoni per affiancarsi alla polizia e picchiare chi è contrario al suo partito/leader. Quando vedi tutto questo, quando capisci che tutto questo é lotta al dissenso, allora capisci che la libertà non é scontata come credevi. Allora, a quel punto, tu che in questi giorni stai attento a cosa e come scrivi, che sussulti al suono di campanello e, prendendoti in giro, pensi “ecco sono venuti a prendermi”, non puoi accettare che una persona venga messa alla pubblica gogna, trattata come la peggior criminale solo per aver espresso delle opinioni. No, non lo puoi più accettare.  

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Su marketing e marketting

Odio il marketting, proprio non lo riesco a sopportare. Ti presentano un prodotto, uguale ad almeno un altro migliaio sul mercato e, solo per la capacità di vestirlo e di presentarlo, di dirti che è il prodotto che fa per te perché sei bello e affascinante, allora te lo sparano ad una cifra. L’altro prodotto, magari fatto nelle stessa filiera produttiva ed altrettanto valido, ma ma di basso profilo, diventa non affidabile, non altrettanto buono e un po’ da sfigati Amo invece il marketing, quello vero, quello che del prodotto unico, del servizio al cliente come relazione, della comunicazione informativa e non persuasiva, quello che rispetta la tua intelligenza e risponde alle tue reali esigenze e non ti induce bisogni che altrimenti non avresti. Quello che il trend li crea perché è valido, e non li subisce perché il mercato lo richiede. Quello che sa riconoscere la nicchia a cui si rivolge, che non pretende di far credere al suo target di essere altro. Se vi sfugge la differenza, vi odio.

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Turchia. Old e new media in #occupygezi

Relativamente a quanto succede in Turchia, non tornerò a ripetere quanto ormai e noto sulle cause e sulle dinamiche che stanno interessando la protesta e nemmeno del ruolo che ha avuto Internet ed in particolare Twitter nella comunicazione e nell’organizzazione delle manifestazioni. Tuttavia conoscendo il grado di digitalizzazione del paese, la domanda  è: davvero è stato sufficiente Twitter a far crescere la partecipazione? Internet qui, secondo gli ultimi dati di Internet World Stats, raggiunge il 45,7% dei cittadini ed è particolarmente concentrato nelle regioni delle prime tre grandi città (Istanbul, Ankara e Izmir). Confrontando i luoghi delle proteste con la distribuzione del tasso di penetrazione è evidente che Internet da solo non avrebbe potuto smuovere la massa che è scesa in piazza in questi giorni in, ricordiamolo, oltre 90 città. Allora come è stato possibile tutto questo? Esistono diverse concause: Attivismo dei giornalisti della carta stampata. In generale ciascun giornalista ha un account Twitter su cui è attivo, non solo per sindacare i propri articoli ma in costante contatto e relazione con i propri follower/lettori. Quanto avvenne a Taksim, quindi, fu subito a portata di mano dei giornalisti che iniziarono subito ad osservare quanto stava accadendo e ad intervenire direttamente come hub e amplificatori. TV locali. come l’Italia, anche la Turchia ha una media di tempo di consumo televisivo superiore alla media mondiale, in particolare le TV locali. Esse hanno coperto in modo completo e costante quanto accadeva a Taksim prima e nei vari centri successivamente. L’assenza dei network nazionali. Come risaputo, i network nazionali non hanno coperto l’evento e, quando l’hanno fatto, lo riportavano in modo strumentale. Cosa puntualmente smentita subito a mezzo Twitter dai manifestanti e successivamente dalla carta stampata. Eccezione di questo è Halk TV che ha sempre coperto l’evento in diretta, mentre altri canali (come CNN Turk o NTV, per citare i più noti) trasmettevano documentari o intrattenimento. Network internazionali. In Turchia la TV satellitare gratuita è molto diffusa. CNN e BBC sono stati tra i primi network internazionali a coprire gli scontri a Taksim e a trasmetterli. CNN e BBC sono normalmente visibili su satellite e, in abbonamento, anche con il doppiaggio o il sottotitolo in Turco. Ciascuno, quindi, ha avuto un ruolo ben distinto: Twitter è stato lo strumento organizzativo e di comunicazione tra i manifestanti, ma anche la fonte principale per la carta stampata. TV locale è stata la prima fonte di informazione territoriale, che ha attirato i manifestanti a Taksmi TV nazionale (ad eccezione di Halk TV) si è prestata come organo di informazione “governativa”. I Network Internazionali hanno giocato come informatore all’estero e come watch dog nei confronti dei network internazionali, allo stesso tempo informando la popolazione locale. In questo contesto ritengo…

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Cosa sta succedendo in Turchia

Solo oggi i media italiani hanno iniziato a parlare delle manifestazioni in Turchia. Ieri la stampa internazionale, a cominciare dal Guardian, avevano puntato l’attenzione a Piazza Taksim ad Istanbul e a #occupygezi. Come riportano tutte le testate, la manifestazione nasce per salvare Gezi Parki, un giardino in zona Taksim che dovrebbe essere smantellato per lasciar posto ad un centro commerciale. La protesta, iniziata Lunedì 27 maggio, in realtà ormai è divenuta una protesta contro il governo Erdogan e la sua deriva autoritaria. La protesta arriva dopo una serie di leggi, di proposte di legge ed interventi adottati dal governio di AKP che, grazie al suo 50%, ha costantemente ignorato e (laddove necessario) represso ogni forma di protesta della società civile (legge sull’alcol, obbligo di prescrizione medica per la pillola del giorno dopo, e altre iniziative come la demolizione dello storico cinema Emek di Istanbul). Ciò che differenzia questa manifestazione da tutte le altre è che per la prima volta, l’interesse che si cercava di tutelare era un bene pubblico difeso da laici e religiosi, oltre ogni forma ideologica e ha interessato un numero elevato di persone. La reazione è stata, come di solito avviene, sproporzionata con veri e propri attacchi da parte delle forze dell’ordine a manifestanti pacifici. Nei social media l’informazione ha corso alla velocità della luce, mentre i media nazionali tacevano o limitavano le notizie. La classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ora quello che succederà non lo sappiamo. In questo momento, mentre continua l’azione repressiva, anche internet inizia ad avere problemi…

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