Prima di aprire un proprio account su una piattaforma, sarebbe importante sapere anche le modalità di cancellazione. Spesso si da per scontato che ad ogni creazione esista sempre la possibilità di poter eliminare il proprio account ed i dati ad esso associati. Sfortunatamente così non è. Ad esempio sapevate che un account su Craiglist o su Evernote è impossibile da chiudere? Ebbene, si. Una volta creato il profilo su queste piattaforme niente può più essere rimosso. O meglio: niente può più essere rimosso automaticamente. Ad esempio su Evernote, l’unica possibilità è cancellare manualmente tutte le note create ma il profilo viene mantenuto, anche se inattivo. Lo stesso dicasi per WordPress. Anche qui l’account non può essere cancellato e l’unico modo per “svuotare” la propria presenza è di cancellare qualsiasi impostazione, blog, post che si sia creato. E ancora Pinterest. Anche questo servizio non prevede la cancellazione dell’account, ma solo la sua disattivazione. JustDelete.me – la directory che spiega come eliminare i profili JustDelete.me è una directory che raccoglie i principali servizi su web ed indica il grado di difficoltà e la procedura per poter cancellare il proprio profilo sulle diverse piattaforme. I gradi di difficoltà sono indicati con i colori: nero = impossibile verde= facile (easy) rosso=difficile (hard) giallo=medio (medium) Per ciascuna piattaforma, è riportato il link alla pagina del servizio che spiega come sia possibile (se lo è) cancellare il proprio account. Si scopre così che, spesso, si offre la possibilità di disattivare il profilo, ma non di cancellare le informazioni ad esso associate che restano di proprietà dell’azienda che eroga il servizio. Si impara anche che in LinkedIN è facile cancellarsi e che per cancellare il proprio account su Amazon, è necessario inviare una email di richiesta. Sarebbe il caso di porre qui degli standard. Alla fin fine i dati dovrebbero essere proprietà del singolo, o no?
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Il mercato del mobile in Turchia continua a crescere. Secondo l’Autorità per le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (BTK), il primo semestre del 2013 ha visto crescere del 7% l’importazione di smartphone, per un totale di oltre 6 milioni di apparecchi (contro i 5,7 dello scorso anno) con una previsione di fine anno che si attesta attorno ai 14 milioni di apparecchi importati. Una situazione, questa, che ha messo in allarme le autorità. Secondo i calcoli effettuati dal BTK, infatti, l’eccessiva importazione potrebbe arrecare un incremento del deficit turco – attualmente a circa 29 miliardi di dollari – per un ammontare di circa 5 miliardi di dollari entro la fine dell’anno. Secondo quanto riportato dal quotidiano turco in lingua inglese Hurriyet Daily News, il presidente del BTK ha dichiarato che la Turchia dovrebbe spingere maggiormente nella produzione nazionale di Smartphone per incrementare il prestito domestico. A questo proposito Turkcell, la principale compagnia di telefonia mobile, annunciò gia a Marzo un accordo con Qualcomm per la produzione di smartphone in Turchia. Il nuovo smartphone made in Turkey vuole posizionarsi su una fascia più economica, ponendosi sotto la soglia media di 350-400 euro di Apple e Samsung e garantire così un maggiore accesso alla popolazione. Attualmente i telefoni di Cupertino e Corea dominano il mercato turco, soprattutto grazie ai pacchetti All Inclusive vincolati a 24 mesi. I prezzi all’acquisto, infatti, si attestano a attorno i 1900 TL (circa 760 euro al cambio odierno) per i nuovi modelli iPhone 5 e Galaxy S4. Questo importo, già esorbitante per un cittadino europeo, diventa inaccessibile per qualsiasi cittadino turco. Considerando che lo stipendio minimo legale, secondo la Legge del Lavoro, si attesta attorno le 800 TL (il medio 1.500 TL circa), un cittadino turco che volesse comprare uno smartphone dovrebbe impegnare lo stipendio di 2-3 mesi. La decisione, quindi, di passare a una produzione locale ha il doppio vantaggio di: ridurre il deficit pubblico (con un contributo della produzione nazionale stimato da Turkcell attorno ai 500 Milioni di Lire Turche ogni milione di telefoni venduti) incentivare la diffusione dell’Internet Mobile grazie ai prezzi inferiori rispetto ai prodotti importati incrementare la domanda di servizi e di conseguenza della nascita di startup dedicate. Nelle intenzioni, quindi, sembra che nei prossimi mesi dovremo assistere ad un ulteriore sviluppo del mobile internet in Turchia. Resta qualche dubbio Bisogna vedere, tuttavia, come questa politica sarà portata avanti. In questi anni, infatti, il Governo Turco ha attuato misure protezionistiche per limitare l’importazione di prodotti telefonici dall’estero, tra cui la necessità da parte dei privati cittadini di registrare presso il BTK gli apparecchi importati (1 ogni 24 mesi) entro un mese dall’ingresso in Turchia, pagando una tassa di registrazione di 100 TL. Senza…
Leave a CommentW finalmente ecco on line il mio “PassaParola” sulla Turchia. L’Audio non è un gran che, ma spero possa essere interessante… Nel blog di Grillo trovate anche la trascrizione dell’audio.
Leave a CommentRelativamente a quanto succede in Turchia, non tornerò a ripetere quanto ormai e noto sulle cause e sulle dinamiche che stanno interessando la protesta e nemmeno del ruolo che ha avuto Internet ed in particolare Twitter nella comunicazione e nell’organizzazione delle manifestazioni. Tuttavia conoscendo il grado di digitalizzazione del paese, la domanda è: davvero è stato sufficiente Twitter a far crescere la partecipazione? Internet qui, secondo gli ultimi dati di Internet World Stats, raggiunge il 45,7% dei cittadini ed è particolarmente concentrato nelle regioni delle prime tre grandi città (Istanbul, Ankara e Izmir). Confrontando i luoghi delle proteste con la distribuzione del tasso di penetrazione è evidente che Internet da solo non avrebbe potuto smuovere la massa che è scesa in piazza in questi giorni in, ricordiamolo, oltre 90 città. Allora come è stato possibile tutto questo? Esistono diverse concause: Attivismo dei giornalisti della carta stampata. In generale ciascun giornalista ha un account Twitter su cui è attivo, non solo per sindacare i propri articoli ma in costante contatto e relazione con i propri follower/lettori. Quanto avvenne a Taksim, quindi, fu subito a portata di mano dei giornalisti che iniziarono subito ad osservare quanto stava accadendo e ad intervenire direttamente come hub e amplificatori. TV locali. come l’Italia, anche la Turchia ha una media di tempo di consumo televisivo superiore alla media mondiale, in particolare le TV locali. Esse hanno coperto in modo completo e costante quanto accadeva a Taksim prima e nei vari centri successivamente. L’assenza dei network nazionali. Come risaputo, i network nazionali non hanno coperto l’evento e, quando l’hanno fatto, lo riportavano in modo strumentale. Cosa puntualmente smentita subito a mezzo Twitter dai manifestanti e successivamente dalla carta stampata. Eccezione di questo è Halk TV che ha sempre coperto l’evento in diretta, mentre altri canali (come CNN Turk o NTV, per citare i più noti) trasmettevano documentari o intrattenimento. Network internazionali. In Turchia la TV satellitare gratuita è molto diffusa. CNN e BBC sono stati tra i primi network internazionali a coprire gli scontri a Taksim e a trasmetterli. CNN e BBC sono normalmente visibili su satellite e, in abbonamento, anche con il doppiaggio o il sottotitolo in Turco. Ciascuno, quindi, ha avuto un ruolo ben distinto: Twitter è stato lo strumento organizzativo e di comunicazione tra i manifestanti, ma anche la fonte principale per la carta stampata. TV locale è stata la prima fonte di informazione territoriale, che ha attirato i manifestanti a Taksmi TV nazionale (ad eccezione di Halk TV) si è prestata come organo di informazione “governativa”. I Network Internazionali hanno giocato come informatore all’estero e come watch dog nei confronti dei network internazionali, allo stesso tempo informando la popolazione locale. In questo contesto ritengo…
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