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Category: Società

Pappa pronta

L’altro giorno sono andato a fare la solita spesa settimanale. Il supermercato  dove vado ha, come molti altri, una rosticeria interna dove puoi comprare primi piatti, pollo, patate al forno, carni e verdure cotte varie. Anche se a pensarci bene l’avevo già visto altre volte, per la prima volta ho notato effettivamente che le persone alla ricerca del piatto cotto non erano solo coppie giovani, uomini in carriera o single (come si potrebbe pensare): erano nonne che prendevano il pollo per “il nipotino”, mariti pensionati che si fanno venire voglia di patate al forno, mogli casalinghe che prendono le verdure cotte. Ricordo da bambino (cioè ieri :-)) quando le mie nonne passavano le giornate in cucina per preparare il pranzo e lcena; mia madre che torna a casa dall’ufficio e, pur essendo stanca, si metteva ai fornelli. Pare, invece, che ora ci sia la rincorsa al faccio meno che posso e, se posso, vado di pappa pronta per non fare fatica. Già, la pappa pronta! Non credo sia solo questione di comodità, ma di pigrizia mentale. E’ un approccio che si nota anche nelle aziende. Ormai sono poche, sempre meno, le persone che si mettono lì e si fanno le cose da soli o, quantomeno, prima di ricorrere a supporti opertaivi esterni, ci provano. Non sto parlando di competenze professionali specifiche; mi riferisco a operazioni del tipo: creazione di una tabella pivot su excel, creazione di un indice automatico su Word; una stampa unione… Non lo so fare? beh lo faccio fare a Tizio invece che aprire l’help in linea e cercare.  La sindrome da Pappa Pronta è pericolosa. Ti porta a spegnere il cervello, a non ragionare più sulle cose, a non cercare una soluzione “perchè, tanto, c’è qualcuno che la trova per te”… e non solo nella vita lavorativa.

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Did You Know?

Via Mauro Lupi arriva questo video su alcuni fenomeni in atto nel nostro pianeta. Interessante e per rispondere alla domanda di Mauro: no non lo conoscevo 🙂

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Trasparenza e buon senso…

    Comunicazione: mettere in comune, condividere. Ma cosa condividere? Dall’advertising, alle pubbliche relazioni, all’ufficio stampa, alla comunicazione interna tutte le attività dell’impresa sono quasi sempre rivolte a mostrare il lato A, tendendo a mettere in evidenza solo ciò che c’è di buono e a nascondere sotto il tappeto lo sporco. Tanto da creare situazioni alquanto imbarazzanti nel momento in cui quello sporco tanto nascosto tende a sbucare fuori dagli angoli. Il principio è: “Non dico bugie, ometto solo una parte della realtà”. Specie oggi dove l’informazione si propaga in tempo reale, l’azienda dovrebbe capire che è più conveniente comunicare in modo trasparente, non omettendo nulla e giocare su una leva di chiarezza e pulizia. Per due ovvie ragioni: la prima, molto banale, che la coperta è sempre corta e, quindi, prima o poi anche quello che non ci interessa dire viene comunque fuori; la seconda, molto meno banale, che mediamente si è disposti a “perdonare” quando c’è ammissione di limiti o colpevolezza piuttosto di quando si nega anche l’evidenza. Questi atteggiamenti hanno un impatto profondo sull’immagine dell’azienda. L’effetto più banale e meno invasivo, nel breve periodo, è la credibilità e, nel medio-lungo periodo, l’affidabilità. Se a questo si aggiunge che le reti di relazione presenti tra i clienti sono il canale primario di informazione e valutazione, questo comporta automaticamente il rischio di trovarsi fuori dal mercato senza accorgersene. La trasparenza, tuttavia, richiede soprattutto la capacità di fare introspezione, fare una analisi delle proprie forze e delle proprie debolezze in modo obiettivo. Ad esempio se la mia tariffa telefonica agevolata vale SOLO ed esclusivamente a determinate condizioni, non devo relegare ad un “*” queste informazioni, ma le devo scrivere a caratteri cubitali. Oppure, se ci sono dei problemi di natura finanziaria nell’azienda, non posso dire a prescindere che va tutto bene. Se non ho la soluzione lo dico e, piuttosto, mi prendo l’impegno (e lo devo mantenere) di trovare un rimedio.  Alcuni potrebbero definirla comunicazione etica, io la chiamo solo “buon senso”.

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Dal Digital al Social Divide

  Con l’estensione della copertura della banda larga, non si tratta più di assicurare e garantire l’accesso alla rete, bensì di diffondere una cultura della rete. Non come conoscenza tecnologica, bensì come educazione al medium.  Se da un lato i social media hanno un potenziale costruttivo elevatissimo per agevolare le relazioni tra gli utenti, dall’altro lato esiste un altrettanto elevato rischio su cui si gioca la reputazione dei singoli.  Se si pensa infatti che social network, blog e gruppi divengono sempre più canali di recruiting, è immediato pensare che se non sei in rete, sei fuori dal mondo del lavoro. Esiste, tuttavia, un altro aspetto. Se da un lato i social media ti possono aprire al mondo del lavoro, gli stessi strumenti ti possono lasciare fuori se non li sai gestire consapevolmente poiché tutto ciò che noi pubblichiamo (foto su face book, filmati su youtube, ecc.) soprattutto grazie agli aggregatori e ai sistemi di sottoscrizione e aggiornamento (rss feed, ecc.) entra nella memoria condivisa e non sarà mai possibile cancellare del tutto.  Quindi non esiste solo un problema di mera presenza sulla rete, ma anche una educazione all’utilizzo della rete che deve essere preventiva. La vera separazione sarà tra chi ‘controlla’ la propria presenza sui social media e chi la subisce. Si creerà, quindi, una differenza tra chi è in rete e chi sa utilizzare la rete. Si aprirà una questione di Social Divide, ancor più seria del Digital Divide, perché a differenza di quest’ultimo non lo puoi normare e non puoi risolverlo con infrastrutture o con lettere di avvocato che intimano di cancellare il post. E’ un processo di crescita culturale che passa attraverso l’esperienza e l’apprendimento diretto di ciascuno. Sarà strategico sempre più che si questo devide venga colmato non solo per l’interesse del singolo, ma soprattutto della società. Una maggiore consapevolezza degli strumenti ridurrà, di conseguenza, i casi di abusi di cui oggi parla la stampa.

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