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Tag: advertising

Advertising: non mi piace, mi piacerebbe

Niente, benché continui a leggere delle potenzialità dei social media nell’advertising c’è qualcosa che continua a stonare. Non sono i social media, ma il concetto attuale di advertising. Pubblicità, pubblicità, pubblicità. Sarà perché è una parte del mio mestiere, sarà perché come tutti ne sono bombardato (dalla cassetta delle lettere, all’email), sarà perché se leggo “offerta speciale” cerco subito l’asterisco… L’advertising non mi piace. Non mi piace lo stile di comunicazione e la totale assenza di creatività. Non mi piacciono quelle iperboli sociali trasmesse di tutto è bello se compri il mio prodotto. Non mi piace il fatto che non si capisca mai cosa ti stanno vendendo perché, poi, c’è quel maledetto asterisco che ti dice “non è niente vero” Non mi piace l’invasività sulla carta, nel video, nelle pagine web. Non mi piace che qualcuno mi dica compra. Mi piacerebbe che mi fosse detto: Guarda, io sono uno dei tanti, il mio prodotto è uguale agli altri, ma devo pur vivere anch’io Guarda, lascia stare, non posso cambiarti la vita, ma ti posso aiutare a renderla più semplice Guarda , se non credi a quello che ti dico, chiedilo ai tuoi amici Guarda, se compri un giornale, capisco che tu non possa avere un articolo e 4 pagine di pubblicità. Quindi, se vuoi sapere cosa faccio, vieni sul mio sito, altrimenti fanne a meno Guarda, quello che ti dico non ha asterischi. Insomma, mi piacerebbe che mi rispettassero come persona.

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L’advertising cambierà per sempre

“Advertising will change forever” è il titolo dell’articolo di Josh Bernoff pubblicato oggi su AdvertisingAge. Attraverso i dati di Forrester Research, Bernoff rimarca quanto molti di noi sottolineano da un pezzo: l’advertising classico è morto. Se la tendenza effettivamente è questa, si apre il capitolo dell’editoria dei mass media. Come dice Beroff: It means media is in trouble, or at least in the middle of a transformation. For example, online video ads, which will be about $870 million this year, will grow to over $3 billion in 2014. What will this do to networks plans to put more of their shows online in places likeHulu. How will it accelerate some newspapers plans to become more and more centered around online? Qui si scatenano le ipotesi. Io sono convinto che l’editoria classica non debba “morire” ma è altrettanto ovvio che, spostandosi gli investimenti pubblicitari verso l’on-line, i modelli di business devono cambiare per sopravvivere. C’è chi vorrebbe “ribaltare” i ricavi derivanti dalla pubblicità sul lettore, ma non credo sia una mossa vincente. Personalmente  ritengo  sia più opportuno rivedere i modelli di offerta per gli “inserzionisti” (termine che presto sarà desueto).  E se, effettivamente, gli eventi sono lo strumento che assieme all’on-line registrano un calo più contenuto, la risposta è abbastanza semplice. Senza dimenticare, però, che chi investe ESIGE dei ritorni.

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Addio Web Advertising, non ci mancherai

  Il Web non è fatto per l’advertising. Come sostiene Eric Clemos (via Luca De Biase):  “The expected drop in internet advertising revenues this year was neither unpredictable nor unpredicted, nor was it caused solely by the general recession and the decline in retail sales […]Pushing a message at a potential customer when it has not been requested and when the consumer is in the midst of something else on the net, will fail as a major revenue source for most internet sites.  This is particularly true when the consumer knows that the sponsor of the ad has paid to have this information, which was verified by no one, thrust at him.”  Come ho avuto modo di dire parlando di Facebook (commentando questo post e anche questo), stiamo parlando di uno scenario molto diverso rispetto alla fine degli anni 90 e agli inizi del 2000. La visione della comunicazione d’azienda deve essere rivista considerando che:  L’informazione è decentrata. L’utente non è più solo fruitore di contenuti, ma li genera. Nella marea di informazioni e di messaggi che invadono il web, sono stati sviluppati filtri cognitivi che ci rendono impermeabili alla pubblicità. Anzi, di più. Siamo diventati refrattari a tutto ciò che ci viene imposto come comunicazione. O ne siamo partecipi, o non ce ne frega nulla. Se un banner o un qualsiasi AD mi rallenta il caricamento della pagina, non solo mi infastidisco, ma il brand di quel poveretto che ha investito riceve pure un danno di immagine.  La brand awareness non passa più attraverso le impressions o i click through. E’ definita dalla conversazione tra gli utenti in rete.  Il web è Relazione. Io azienda non sono un emittente, non sono un soggetto che comunica, ma un soggetto che fa parte di una conversazione dove il mio contributo vale in potenza tanto quanto quello di un singolo blogger. Quindi in rete si dovrò bandire la vecchia frase tanto cara a molti imprenditori “azienda leader nel proprio settore”. Se lo sei, ti verrà detto. Altrimenti non lo sei, mettiti l’animo in pace, stai sereno e fai il tuo lavoro.  Il web non è altro rispetto all’off-line. La distinzione tra on-line e off-line è inesistente. Chi frequenta la rete sono le stesse persone che incontro ai meeting, ai convegni, al bar mentre bevo lo spritz. Non sono schizofrenici (mediamente) e in rete portano gli stessi valori e le stesse caratteristiche che hanno tutti i giorni. Allo stesso modo l’azienda è una, sia on sia off line. Gli interlocutori (il target) sono gli stessi. Quindi la mia immagine deve essere coerente su tutti i fronti. La mia comunicazione, nei contenuti ovvio non nelle forme, deve essere la stessa.  Internet non è un…

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Non mi serve uno zio vescovo

Se si pensa che il marketing non convenzionale possa servire solo ai beni di largo consumo, prendetevi ‘sto getto di acqua fredda. “Senza uno zio vescovo” è la campagna virale di Infojobs. Il concept è semplice ma allo stesso tempo molto azzeccato, soprattutto se inquadrato nella specifica intolleranza generata proprio dai casi di raccomandazione e assunzioni “politiche” di cui sono oggetto non solo enti pubblici, ma anche aziende private. Senza uno zio vescovo è una campagna virale fatta e finita. Un video virale ed il suo makin-of, wall paper, spille digitali e addirittura, prossimamente, un flash mob. L’unico neo che vedo è il fatto di essere un prodotto di puro advertising “passivo”. Perché dovrei pubblicare il bollino nei miei profili in giro per i social network? Perché dovrei iscrivermi al flashmob? Perché dovrei scaricare il wallpaper? L’idea sarebbe stata perfetta se inserita, ad esempio, in una iniziativa contro le raccomandazioni o in una campagna di sensibilizzazione verso le aziende sui costi generati dalle raccomandazioni.

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