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Tag: blog

La neutralità della rete e la responsabilità personale

Qualche settimana fa, in occasione dell’indagine Antitrust su Google richiesta dalla FIEG, sul FriendFeed di Michele Ficara Manganelli ci fu un’interessante scambio di opinioni che ha toccato anche il tema della privacy e gli aspetti di regolamentazione della rete che secondo alcuni sono necessari. Eravamo in pochi ad essere dell’idea, invece, che sia necessaria una autoregolamentazione che passi, innanzitutto, attraverso una “cultura della rete” o una cultura digitale. Personalmente sostengo che tutti i tentativi di normare la rete (non ultima la nuova proposta Pecorella) siano solo i tentativi di una generazione nemmeno di migranti, ma di trogloditi digitali, di mantenere lo status quo. Anche se si potrebbe sostenere benevolmente che tali iniziative siano adottate realmente a “tutela” dell’utente, sono convinto e rimarrò convinto che senza una educazione e una responsabilizzazione del singolo nell’utilizzo sia solo deleterio per lo sviluppo delle potenzialità del web. Sono stato felice, quindi, quando ho letto della proposta della Fcc negli Usa: garantire la neutralità della rete non limitandone l’utilizzo ma riconoscendo le responsabilità di utilizzo al singolo individuo. Il reato non è il P2P (come si è tentato di far passare), ma è la violazione del copyright ad esserlo. Lo stato perseguirà me nel momento in cui condividerò file protetti da diritto d’autore. Non mi sarà oscurato Facebook perché covo di sovversivi rivoluzionari, andrò a prendere i sovversivi rivoluzionari e li sbatterò in galera. L’eccessiva tutela del singolo non permette alla società di crescere e di responsabilizzarsi nei propri comportamenti, perché passa il principio che se è accessibile è permesso, che se lo può fare uno lo possono fare tutti. Inoltre non pone le persone nella condizione di “sforzarsi” a imparare il galateo, ma a comportarsi come gli pare. Da un punto di vista di business è la stessa cosa. Le aziende (come quelle dell’editoria) vogliono sfruttare Internet, ma non vogliono accettarne le regole. Anche qui: si deve avere la consapevolezza che nel momento in cui mi apro a un canale, devo accettarne pregi e difetti. Così come lo Stato non ammette l’ignoranza legislativa, lo stesso principio vale nell’utilizzo della rete (con l’unica “piccola” differenza che in rete le regole non sono determinate dall’alto).

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Oltre la cortina

Oltre la cortina di fumo che circola sulla “filosofia” dei social network. Circola in rete da qualche giorno questa citazione di Chris Anderson. Che dire, iniziamo a diradare la nebbia? Social media, doesn’t exist for a shared purpose. It exists to serve the individual. We don’t tweet to built Twitter, we tweet to suit ourselves. We blog because we can, not because we have signed on to a blogging project (Chris Anderson)

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Su blog e giornalismo

Avrei voluto commentare il post direttamente sul blog di Anna Bruno. Tuttavia non mi è possibile perché i commenti sono chiusi. Quindi, rispondo qui, ma tengo a precisare che ho mandato una email di notifica della mia risposta, in modo tale da poter permettere una eventuale replica. In sintesi: Anna Bruno torna sul tema della legge sull’editoria appoggiandola in quanto, ritiene, serva a garantire una qualità dell’informazione minacciata da un proliferare di blog che si mascherano dietro ad una autorevolezza informativa che in realtà non hanno. E’ una posizione abbastanza comune tra i giornalisti (non tutti per fortuna) ma la ritengo quanto meno superficiale e sicuramente mancante di una conoscenza del fenomeno dei social media. Chi ‘vive’ il fenomeno dei blog e dei social media da dentro sa che ciò che rende autorevole una fonte è la ‘reputazione’; e la reputazione di un blogger è costruita perché qualcun altro gli riconosce la competenza: maggiore è la reputazione di chi riconosce, maggiore sarà la reputazione del blogger; e, ancora, quando un blogger si gioca la reputazione, automaticamente viene ‘squalificato’. Non si può dire lo stesso di un giornalista che lavora solo in virtù di una autorizzazione riconosciuta da un ordine composto dai suoi stessi colleghi e, come si sa, “cane non mangia cane”. Questo ancor più dimostrato dal fatto che le testate on line generalmente non permettono mai di commentare le notizie. Altro punto che non condivido è paragonare la professione giornalistica a quella del medico, dell’architetto, ecc. Premesso che non esistono professioni di serie A e di serie B e che ritengo che tutti gli ordini professionali siano anacronistici e andrebbero aboliti (ne parlo anche qui in parte), il giornalismo è proprio una di quelle professioni che non dovrebbero avere un ordine professionale. La presenza di un ordine che voglia gestire l’informazione va nella direzione opposta rispetto alla tanto declamata pluralità di informazione ed espone, inoltre, a un controllo che non sempre è attuato per “garanzia” (ricordiamoci che l’ordine dei giornalisti è stato voluto da Mussolini). Infine, non è assolutamente vero che un giornalista – anche se iscritto all’ordine – tenga separata l’opinione personale da quella professionale, anzi. Nessuno può garantirlo. La sola scelta delle parole in un articolo, la scelta di immagini in un servizio sono frutto di libero arbitrio di chi fa il pezzo e che decide cosa secondo lui è più importante evidenziare rispetto ad altro. Quindi, anche se i fatti sono “veri”, le fonti certificate ed il pezzo controfirmato da un direttore responsabile, la notizia come prodotto sarà sempre viziata dalla visione di chi la veicola. Nello stesso identico modo in cui lo è quando a veicolarla è un blogger, che però non ha chi gli…

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