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Tag: organizzazione aziendale

Sul concetto di mulo digitale

Leggo con molto interesse il post pubblicato da Giorgio Soffiato su Marketing Arena e sostanzialmente lo condivido tutto, eccetto su un punto: La dif­fe­renza sta tutta in que­sto “farsi il culo”, nel lavo­rare un’ora più degli altri e nel capire che que­sto un domani por­terà a qual­cosa di pro­prio Sono nato e cresciuto in Veneto, la regione in cui si lavora come “mussi” – per chi non lo sapesse, il termine indica il “mulo”. L’impresa del miracolo del Nord Est era una produzione artigianale / industriale di oggetti. La produzione era fisicamente legata al fattore tempo, pertanto se la produzione di 1 divano mi richiedeva 1 ora, 10 divani mi richiedevano 10 ore. Chiaro è, quindi, che più ore lavoravo, più avrei prodotto. Nell’economia digitale o per le professioni manageriale la correlazione tempo di lavoro uguale produttività non regge per alcuni motivi: una riga di codice non è uguale all’altra, un piano di marketing non è uguale ad un altro; la mente ha dei tempi di produttività limitati e, sottoposta a ritmi elevati, non solo non è produttiva e perde l’attenzione e la cura del dettaglio. Adottare la tempo-produttività nell’economia digitale è economicamente svantaggioso. L’economia dei servizi è ad oggi ancora vincolata ad un legame costo/ora. Pertanto più ore lavoro, maggiore è il costo del servizio. La differenza tra un professionista e un bravo professionista, quindi, è proprio questa: lavorare un’ora in meno e ottenere lo stesso risultato che un altro otterrebbe lavorando un’ora in più. L’impatto sulla redditività è evidente. Purtroppo l’equazione tempo = produttività è uno dei motivi alla base di grandi problemi che abbiamo riscontrato nel mondo del lavoro e nell’economia. Molte aziende, per incapacità organizzativa, hanno fatto dello straordinario una questione ordinaria gravandosi di “costi di produzione” esagerati, costringendole ad erodere il margine operativo lordo. Per ovviare a questo problema, molte adottano contratti di consulenza o collaborazione al fine di svincolarsi dalla variabile costo/ora. Chi non lo ha adottato, o si è trovato fuori mercato o ha cercato persone a basso costo, accontentandosi di competenze inferiori e, quindi, abbassando la qualità del servizio ricevuto ed erogato. Un aneddoto. Anni fa un amico che lavorava in una Agenzia di Pubblicità a Londra, mi raccontò che il suo capo fu licenziato perché il team che guidava – composto da 15 persone – in un mese fece 10 ore di straordinario. La direzione valutò la sua prestazione come dannosa per la produttività dell’azienda.

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Chi sta parlando di me?

  Radian6 è una agenzia dedita al monitoraggio e all’analisi della Reputazione on-line. All’interno del loro sito ho trovato molto interessante la descrizione per punti che viene data ai social media, di cui riporto i titoli: Social media is game changing Social media is not a closed system Social media is not just another media Social media is transparent Social media is more than blogs Social media is decentralized and real-time Social media is measurable Se qualcuno dice che i Social Media non sono altro che un altro dei canali per fare marketing, vi sta rubando i soldi. Ancor prima di parlare, è strategico porsi in ascolto. Forse mai come oggi è così vera l’espressione: “Il comunicatore migliore è quello che più sa ascoltare”. La dencetralizzazione e la propagazione delle notizie rende impossibile controllare in senso classico la comunicazione dell’azienda. L’unico modo è quello di creare le condizioni affinché il brand abbia un’ottima reputazione. Per farlo, tuttavia, non sono sufficienti le pubbliche relazioni. La reputazione, oggi più di ieri, è un processo che investe tutta l’organizzazione aziendale: dalla produzione, alla commercializzazione, al post-vendita ma anche, e soprattutto, la soddisfazione dei dipendenti. Se solo uno di questi fattori viene meno, la reputazione è facilmente compromessa ed il rischio aumenta all’aumentare delle dimensioni dell’impresa. Se poi si considera che la rete è ormai la prima fonte di informazione e che ha portato su scala globale il vecchio “consiglio dell’amico”, è chiaro che non potendo controllare milioni di utenti è molto meno costoso organizzare l’azienda affinché la sua credibilità sia salvaguardata dagli stessi utenti. Rimane comunque una rivoluzione copernicana, talmente profonda e radicale che spesso, anche i governi, preferiscono rendere inaccessibili i network piuttosto che farsi un bell’esame di coscienza.

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