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L’essenza dell’intelligenza artificiale

Come ci immaginiamo le cose contribuisce a determinarne l’essenza. Il nostro cervello lavora per immagini, le quali sono la sintesi di caratteristiche e rappresentano l’essenza, di un oggetto, di una persona, di un’idea. Tale rappresentazione contribuisce a collocare questa rappresentazione nell’ambito dell’esperienza.

AI problem real world
Antropomorfismo dell’IA

La rappresentazione antropomorfica dell’intelligenza artificiale alimenta l’aspettativa di una macchia che ragioni, si comporti e appaia come l’uomo. Quindi si determina l’aspettativa che l’IA sia il simulacrum technologico dell’essere umano, alimentando dispute dialogiche che misurano le prestazioni dei sistemi sulla base delle prestazioni umane e portano ad affermazioni quali “L’Intelligenza Artificiale potrà/non potrà essere autonoma, potrà/non protrà sviluppare una coscienza”

Boston Dynamic’s “Do you love me?”

Questi tipi di considerazioni sono frutto dell’antropomorfizzazione dell’IA, quella stessa rappresentazione che ci fa stupire quando vediamo Atlas di Boston Dyamics ballare al ritmo di “Do you love me?”, e la cui assenza non riesce a far percepire il significato reale del progetto AlphaGo. Quella antropomorfizzazione che ci fa pensare che Spot, sempre di Boston Dynamics, sia più evoluto di IBM Watson

Quanto sopra detto potrebbe essere la premessa del mio ultimo post su LinkedIn:

La questione filosofica, che però si traduce in aspetti molto pratici, è: ma davvero le macchine dovranno “ragionare” come l’uomo ? Se la difficoltà di replicare i processi cognitivi da un punto di vista ingegneristico è un dato oggettivo, la questione è: ma davvero serve? E’ solo questa la misura dell’Intelligenza Artificiale?.

L’IA, oggi, nella sua versione “narrow” sta già superando le capacità dell’uomo nell’analisi e individuazione di correlazioni, sta già esprimendo capacità creativa (nel senso più ampio di creazione).

L’intelligenza delle macchine non può e non deve essere alla pari di quella umana. Le macchine, oggi, scontano il fatto di una esperienza limitata del mondo perché addestrate su dati forniti (e filtrati) dall’uomo. E’ un po’ come dire che ho fatto esperienza di un luogo per averlo visto su Instagram.

Il sensoring abilitato dall’IoT permetterebbe una esperienza diretta. Tale esperienza, tuttavia, non potrà essere la stessa dell’uomo poiché ontologicamente la macchina non è l’uomo, i processi “cognitivi” non sono gli stessi. Ciò a cui può ambire la macchina è la simulazione baudrillardiana dell’essere umano, ma mai divenire tale ed allo stesso tempo, non per questo, essere inferiore.

Published in Scienze Cognitive Tecnologia

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