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Tag: Reputazione

Su Blog e Giornalismo. Prosegue il dibattito

Inizialmente avevo intenzione di rispondere direttamente nei commenti della replica di Anna Bruno al mio post, ma la lunghezza del testo me lo impediva. Trovo alquanto stimolante questo tipo di conversazione. “Non è assolutamente quello che ho detto. Cito testualmente il punto del mio post: “L’idea dei blog, dei diari personali, è un’idea democratica. Nel pieno rispetto del diritto di informazione e di parola, ognuno di noi esprime la propria opinione. Chi legge è ben conscio di ricevere il pensiero dello scrittore e, soprattutto, le opinioni di chi anima il blog“. In estrema sintesi, si ai blog come espressione del proprio pensiero, no ai blog come fonte di informazione.” Appunto stiamo parlando di libera espressione. Le opinioni delle persone si formano principalmente sulla chiacchera da bar ancor prima delle fonti informative ufficiali. Questo implica, a mio avviso, che un lettore di blog parte già dal presupposto che sta leggendo l’opinione di una persona e quindi è comunque in grado di filtrarla come tale. Se così non fosse, allora non solo si dovrebbe regolamentare la pubblicazione di blog, ma anche la libertà di pensiero e di parola se si ha il timore che si possano diffondere fatti e opinioni distorti.   Questa è un’opinione personale ed è giusta se manifestata sul proprio blog in modo che chi legge riconosce il senso dell’affermazione ovvero opinione personale e non fonte di informazione. Questa affermazione è grave se scritta su una testata giornalistica in quanto non si sorregge su dati di fatti ovvero prove. Vorrei solo richiamare alla mente i casi in cui molti professionisti hanno preso come fonte un blogger, molto spesso bucando la notizia proprio perché non hanno verificato. Mi pare che, agli effetti, siano gli stessi giornalisti a dare un riconoscimento non richiesto ai blog.   Non voglio scomodare troppo Google per tirare fuori articoli su come si costruisce l’autorevolezza di un blog o di un qualsiasi sito. Mi piace citare un post tratto da un blog  che si sofferma sull’importanza dei BL (Back link) per far salire la reputazione di un sito, argomento che in questi ultimi tempi ha visto il proliferare del fenomeno degli scambi e acquisti link e di come Google ha dovuto prendere le contromisure. La reputazione a cui mi riferivo non è quella di un sito, ma di un blogger e non sempre le cose coincidono. I BL sono una tecnica che al limite ti fa salire nel page rank di google e ti da visibilità, ma questo non ti da automaticamte reputazione e autorevolezza. Sono la persona e i suoi contenuti che sono autorevoli, a prescindere dal mezzo attraverso cui si esprimono. Ottimi contributi sulla questione li ha dati Maurizio Goetz in vari post.  In…

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Su blog e giornalismo

Avrei voluto commentare il post direttamente sul blog di Anna Bruno. Tuttavia non mi è possibile perché i commenti sono chiusi. Quindi, rispondo qui, ma tengo a precisare che ho mandato una email di notifica della mia risposta, in modo tale da poter permettere una eventuale replica. In sintesi: Anna Bruno torna sul tema della legge sull’editoria appoggiandola in quanto, ritiene, serva a garantire una qualità dell’informazione minacciata da un proliferare di blog che si mascherano dietro ad una autorevolezza informativa che in realtà non hanno. E’ una posizione abbastanza comune tra i giornalisti (non tutti per fortuna) ma la ritengo quanto meno superficiale e sicuramente mancante di una conoscenza del fenomeno dei social media. Chi ‘vive’ il fenomeno dei blog e dei social media da dentro sa che ciò che rende autorevole una fonte è la ‘reputazione’; e la reputazione di un blogger è costruita perché qualcun altro gli riconosce la competenza: maggiore è la reputazione di chi riconosce, maggiore sarà la reputazione del blogger; e, ancora, quando un blogger si gioca la reputazione, automaticamente viene ‘squalificato’. Non si può dire lo stesso di un giornalista che lavora solo in virtù di una autorizzazione riconosciuta da un ordine composto dai suoi stessi colleghi e, come si sa, “cane non mangia cane”. Questo ancor più dimostrato dal fatto che le testate on line generalmente non permettono mai di commentare le notizie. Altro punto che non condivido è paragonare la professione giornalistica a quella del medico, dell’architetto, ecc. Premesso che non esistono professioni di serie A e di serie B e che ritengo che tutti gli ordini professionali siano anacronistici e andrebbero aboliti (ne parlo anche qui in parte), il giornalismo è proprio una di quelle professioni che non dovrebbero avere un ordine professionale. La presenza di un ordine che voglia gestire l’informazione va nella direzione opposta rispetto alla tanto declamata pluralità di informazione ed espone, inoltre, a un controllo che non sempre è attuato per “garanzia” (ricordiamoci che l’ordine dei giornalisti è stato voluto da Mussolini). Infine, non è assolutamente vero che un giornalista – anche se iscritto all’ordine – tenga separata l’opinione personale da quella professionale, anzi. Nessuno può garantirlo. La sola scelta delle parole in un articolo, la scelta di immagini in un servizio sono frutto di libero arbitrio di chi fa il pezzo e che decide cosa secondo lui è più importante evidenziare rispetto ad altro. Quindi, anche se i fatti sono “veri”, le fonti certificate ed il pezzo controfirmato da un direttore responsabile, la notizia come prodotto sarà sempre viziata dalla visione di chi la veicola. Nello stesso identico modo in cui lo è quando a veicolarla è un blogger, che però non ha chi gli…

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Dal Digital al Social Divide

  Con l’estensione della copertura della banda larga, non si tratta più di assicurare e garantire l’accesso alla rete, bensì di diffondere una cultura della rete. Non come conoscenza tecnologica, bensì come educazione al medium.  Se da un lato i social media hanno un potenziale costruttivo elevatissimo per agevolare le relazioni tra gli utenti, dall’altro lato esiste un altrettanto elevato rischio su cui si gioca la reputazione dei singoli.  Se si pensa infatti che social network, blog e gruppi divengono sempre più canali di recruiting, è immediato pensare che se non sei in rete, sei fuori dal mondo del lavoro. Esiste, tuttavia, un altro aspetto. Se da un lato i social media ti possono aprire al mondo del lavoro, gli stessi strumenti ti possono lasciare fuori se non li sai gestire consapevolmente poiché tutto ciò che noi pubblichiamo (foto su face book, filmati su youtube, ecc.) soprattutto grazie agli aggregatori e ai sistemi di sottoscrizione e aggiornamento (rss feed, ecc.) entra nella memoria condivisa e non sarà mai possibile cancellare del tutto.  Quindi non esiste solo un problema di mera presenza sulla rete, ma anche una educazione all’utilizzo della rete che deve essere preventiva. La vera separazione sarà tra chi ‘controlla’ la propria presenza sui social media e chi la subisce. Si creerà, quindi, una differenza tra chi è in rete e chi sa utilizzare la rete. Si aprirà una questione di Social Divide, ancor più seria del Digital Divide, perché a differenza di quest’ultimo non lo puoi normare e non puoi risolverlo con infrastrutture o con lettere di avvocato che intimano di cancellare il post. E’ un processo di crescita culturale che passa attraverso l’esperienza e l’apprendimento diretto di ciascuno. Sarà strategico sempre più che si questo devide venga colmato non solo per l’interesse del singolo, ma soprattutto della società. Una maggiore consapevolezza degli strumenti ridurrà, di conseguenza, i casi di abusi di cui oggi parla la stampa.

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