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Category: Internet

Internet and related contents

Cosa si intende veramente con Intelligenza Artificiale Generale

Tra i grandi padri dell’Intelligenza Artificiale vi è la convinzione che tra 50 anni circa assisteremo all’avvento dell’Intelligenza Artificiale Generale. Ma cosa si intende con questo termine? Nell’immaginario comune una Intelligenza Artificiale Generale (Artificial General Intelligence o AGI) ha le caratteristiche di DAVID, il bambino robot del film “Artificial Intelligence” : ragiona come un essere umano, sente e agisce come un umano. E’ in grado di “simulare” un essere umano in tutto e per tutto al punto da rendersi indistinguibile dagli uomini, diventa “umana”. Ma è veramente così? La risposta banale, ma non scontata è: assolutamente no. Come abbiamo già avuto modo di dire tempo addietro (Vedi: Introduzione all’intelligenza artificiale per comuni mortali), una AGI è un sistema il cui scopo non è quello di emulare l’uomo, bensì, attraverso l’emulazione della mente umana, di adattarsi al contesto in cui si trova senza la necessità di essere pre-programmata. Questo permetterebbe ad una macchina di essere completamente autonoma, di apprendere in continuazione e di migliorarsi attraverso l’esperienza. Nella letteratura scientifica, infatti, si fa sempre riferimento a “humanlike” (simile all’uomo) e non semplicemente “human” (umano). L’utilizzo del suffisso “like” (simile) è voluto, non casuale. Nessun ricercatore, ad oggi, si sogna di ricreare la mente umana in formato digitale. Ciò che si sta studiando è, da un lato, l’utilizzo delle attuali conoscenze sulla mente umana per rendere maggiormente autonome le macchine; dall’altro, attraverso il tentativo di simulare il funzionamento, di capire come funziona la nostra mente. Quindi come si farà a capire quando sarà raggiunto il livello AGI ? In realtà nessuno lo sa con precisione per due ordini di motivi:  non si è raggiunto un accordo sulla definizione di intelligenza;  le misurazioni sono fatte sulle prestazioni dell’applicazione ed in particolare sulla precisione. Ad esempio si misura quante volte un algoritmo fa previsioni corrette (accuratezza); si misura il costo di elaborazione in termini di tempo e risorse. Si applicano, in generale, parametri funzionali. Ancora oggi si fa riferimento al Test di Turing, nelle sue svariate forme, per misurare l’evoluzione delle macchine. Tuttavia per molti studiosi non è sufficientemente preciso poiché, per sua stessa natura, il test misura solo la capacità della macchina di sembrare umana, ma non effettivamente la capacità di ragionare ed elaborare un proprio pensiero. Per fare un esempio. Un chatbot potrebbe essere in grado di rispondere a tono alle nostre domande ma queste risposte, molto spesso, si baserebbero solo su un calcolo delle probabilità e sulla selezione della struttura sintattica più appropriata sulla base della domanda posta. Apparirebbe “umano”, ma probabilmente non avrebbe capito di cosa stiamo parlando. Diversa è, invece, la capacità di comprensione del significato e la possibilità di applicare quella conoscenza ad altri contesti. Significa che la macchina deve essere in…

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I danni degli incarichi “gratuiti”

Dunque il governo Renzi decide di affidare la direzione dell’Agenzia per il Digitale a un top come Diego Piacentini di Amazon per far salire all’81% le famiglie “connesse con reti di prossima generazione” entro il 2020 (oggi al 43%). Anche in questo caso, come lo è stato per Riccardo Luna in qualità di Digital Champion, l’incarico sarà gratuito. Piacentini per i prossimi due anni lavorerà gratis per il Governo Italiano. Se, però, la non retribuzione dell’incarico di Digital Champion è prevista già dal disegno europeo, non si può dire lo stesso per quella di direttore dell’Agenzia per il Digitale. E’ chiaro che Renzi ha deciso questa formula per evitare l’obbligatorietà di ricorrere a selezione con evidenza pubblica. Scelta legittima, che gli permette di avere le mani libere nel nominare chi ritiene più adatto all’incarico. Non sono così illuso dal non pensare che probabilmente Piacentini, comunque, non resterà senza stipendio per due anni e che Amazon, visto l’incarico che ricoprirà, potrebbe aver deciso di continuare a pagarlo. Ma non è questo il punto. Quelli sono affari che riguardano Piacentini. Non mi interessa. Mi interessa tuttavia un altro aspetto che tocca quotidianamente chi lavora nel, per o con il Digitale: farsi pagare le competenze. La tendenza a non retribuire le persone per le proprie competenze potrebbe aggravare la già difficile situazione di chi lavora nel digitale e che ogni giorno si batte contro “il nipote smanettone che mi fa il sito web gratis“; con buona pace degli sforzi fatti da Scano et al. per far riconoscere le professioni del digitale. Si, perché non retribuire Piacentini porta inevitabilmente, nella mentalità diffusa dell’imprenditoria italiana, ad affiancare la scusa del “nipote smanettone” a quella del “guarda, anche il Manager di Amazon lavora gratis”. Ora, non sono uno sciocco e so benissimo che sono argomenti strumentali. Il problema è che questa tendenza a continuare a non retribuire chi lavora nel o per il digitale, lancia il messaggio che queste sono professioni che possono non essere retribuite. Se un Piacentini e un Luna, per merito loro (ci mancherebbe), possono permettersi di “donare” del tempo a queste nobili cause senza compromettere la possibilità di portare il pane a casa, la stessa cosa non si può dire per chi, invece, se non viene pagato, quel pezzo di pane non può nemmeno sognarselo. Se la politica è espressione di chi vota, è anche vero che la politica può consolidare o no questa espressione. Se, quindi, è prassi comune ricorrere all’argomento del “nipote smanettone” e la politica non fa capire che le competenze vanno retribuite ma che, anzi, queste possono essere prese gratis dai top, allora è chiaro che saremo di fronte alla ennesima lotta tra poveri dove – a patto che tu…

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Il nervo scoperto

“Eco e gli imbecilli” potrebbe essere il titolo di un social book sulla polemica scatenata dalla conferenza di Umberto Eco in cui asserì che “Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità”. Non mi dilungherò qui sulla interpretazione di quanto detto da Eco (esiste già una cospicua letteratura on-line :-)). Mi permetto tuttavia di fare qualche appunto sulle reazioni sproporzionate che il suo intervento ha generato. (su DataMediaHub potete vedere il filmato completo). Eco deve aver toccato un nervo scoperto, in particolare presso i campioni che si sono sentiti oltremodo offesi da una mera analisi sociologica. Si è riaperta la diatriba tra “il vecchio che non conosce”, che vende minacciata la sua autorevolezza ed il nuovo che, seppur senza titoloni, sta facendo crescere il proprio seguito. Tra i vari articoli letti in giro, il post di Gigi Cogo di qualche giorno fa mi sembra quello che meglio esprime il perché della reazione a mio avviso spropositata a una mera analisi sociologica. Non me ne voglia Gigi, sa quanto lo apprezzi per la sua attività divulgativa e per la sua conoscenza della rete. Alcune delle riflessioni che sto per fare, ho avuto modo già di condividerle nei commenti del suo post. Scrive Gigi: Ovviamente Umberto Eco rappresenta al meglio e con ampi e continui riconoscimenti questa specie di dotto esperto mega-super professorone che, rispetto alle nuove tecnologie ma soprattutto rispetto all’espansione e inclusione di massa che esse determinano, si sente obbligato a stigmatizzare la sua superiorità culturale e lo schifato distacco. Innanzitutto Eco non ha oggi, e non ha mai avuto uno schifato distacco nei confronti della rete. Non almeno come Michele Serra (lui si, se potesse, spegnerebbe Internet domani mattina). Tanto è vero che nei primi anni 90, Eco fu tra i primi in Italia a studiare le potenzialità degli Ipertesti e della rete. Ricordo a tal proposito un esperimento di un racconto ipertestuale in cui ogni parola di un paragrafo apriva un nuovo capitolo della narrazione, generando percosi narrativi sempre diversi. Il problema di fondo che assale lui e i suoi simili, e al quale non sanno dare una risposta, è che davvero oggi uno sconosciuto persino agli inquilini del suo condominio può diventare un personaggio influente in rete. Ciò tormenta Eco e altri suoi pari al punto da portarli a condannare tutti quelli che hanno influenza in rete come ignoranti, incompetenti o meglio ancora: imbecilli. Eco nel suo discorso non condanna chi ha influenza in rete. Quello che dice è che c’è il rischio che una bufala diffusa in rete non abbia limiti nel diffondersi se diventa virale. E questo costituisce un problema di formazione del pensiero. Come sappiamo, la narrazione, in…

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Cookie Law, a chi mando la fattura?

Come ha scritto anche Gianluca, la normativa sui cookie è un problema che finirà per daneggiare il piccolo editore/azienda senza risolvere la questione della tutela della privacy nei confronti delle grandi corporation. Se si applica alla lettera la normativa, come ben spiegato su CheFuturo da Ernesto Bellisario, dobbiamo non solo dare l’informativa ma attivare una serie di strumenti che consentano al nostro visitatore di decidere quali cookie accettare e quali no. Molti siti come questo fanno uso di wordpress e di piattaforme di content management e chi più, chi meno installano plugin per diversi scopi. Molti di questi plugin, come ad esempio Analytics by Yoast, usano i cookies di google per le statistiche. Ora, in linea teorica, noi saremo tenuti non solo a dire che si utilizzano i cookie di google, ma dovremo dare la possibilità preventiva (ciòè prima che vengano installati) all’utente di decidere se utilizzarli o meno. Questo significa, operativamente, ad andare a inserire una serie di controlli all’interno di ciascun plugin in modo tale che crei il cookie solo dopo che l’utente abbia dato il consenso. Chi lavora con i plugin sa benissimo che, una volta che questo viene aggiornato (magari per la correzione di qualche bug), tutte le modifiche precedentemente apportate vengono cancellate. Quindi, in teoria, dovremo nuovamente mettere mano al plugin e ridefinire i controlli; o rinunciare all’aggiornamento magari critico per la sicurezza del sito; o, ancora, rinunciare all’utilizzo di quel plugin e crearci delle funzioni ad hoc. E già qui perderemo l’80% dei siti attualmente on-line. Ora, se si tratta di una grande azienda, l’impatto di un tale intervento è oneroso ma sostenibile in ottica di business. Ma cosa succede se si tratta del blogger singolo o del piccolo imprenditore che, ad esempio, utilizza il login di facebook per i commenti? I costi che si devono sostenere non sono solo quelli tecnici (che già sarebbero sufficienti), ma anche quelli legali perché le sanzioni previste per la mancata o l’incompleta applicazione della normativa sono esorbitanti: per i casi di omessa o incompleta informativa la sanzione prevista è da 6 mila a 36 mila euro l’installazione di cookie sui terminali degli utenti in assenza del preventivo consenso degli stessi comporta la sanzione del pagamento di una somma da 10 a 120 mila euro. La domanda è: ma perché deve essere il titolare del sito a prendersi carico di quello che manda un Facebook, Linkedin, Google e i loro derivati sul PC del suo lettore, senza considerare che spesso e volentieri il titolare non usufruisce nemmeno di quei dati raccolti e che, in più, nemmeno vengono archiviati sui propri server ma vanno nei data center dei colossi ? La fattura la mandiamo a loro o al Garante?

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Why they will not stop the networked society

What we’re living today is probably the core and hardest point of social change generated by Internet and the so called Social Web. We are in the deep consolidation of the Networked Society in which network technologies are undermining an organizational model based on the centralized power control, in favor of a more distributed power. Despite many governments try in different ways to “arrest” this process through direct or indirect control, we can say that the networked society has passed the point of no-return. In order to understand why It’s impossible to go back, we need to travel through again the path we walked till today. From Globalization to the Information Society The first stage of this change has been realized at the end of ’80 when the Berlin wall’s falling closed the Cold-War and, as we know, this disintegrated the USSR. Falling down the soviet block, also many of threats and limits felt down. In the middle of nineties, WTO born with the intent of supervising and liberalizing international trade. In those years China started to increase its economy and it will has become the largest economy in the world. Europe was moving fast forward to open internal borders and to create the European Union, facilitating people and goods exchange between States. The Globalization was born. In the meanwhile (1993), Internet abandoned the “reasearch” stage becoming the World Wide Web. The major change introduced by this technology was that “borders” would have no more meaning. Now any information can be produced anywhere and used, consumed and spread despite the place and time. It’s a about permanent information stored somewhere and ready to be access by anyone around the world. In nineties we entered completely into the Information Society age. People living in different countries had the opportunity to communicate each other without any limitation. In few years, the number of connected people grown up from 16 million (the 0.4% of world population as in 1995) to 361 million (5.8% of world population as in 2000) to reach about 3 billion in March 2014 (41%) [source: History and Growth of the Internet from 1995 till Today at Internet World Stats]. On one side we had the free circulation of people and goods. On the other side we got the opportunity to have the free circulation of ideas.   Social Media and Internet penetration have a causal and negative impact on corruption: this is the conclusion of the research conducted by Chandan K. Jha and Sudipta Sarangi, fellow researchers at Louisiana State University’s Department of Economics. According to the research conclusions the more Social media and Internet penetration in a Country, the less the corruption rate of that Country. Published on March 2014, The Louisiana State University’s paper is probably one of…

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